La nuova disciplina dello split payment per l’Iva mette a dura prova anche gli amministratori locali, soprattutto per quel che riguarda gli acquisti economali. Molti sono i nodi applicativi relativi alle operazioni nelle quali appare impossibile «scindere» l’imposta all’atto del pagamento. Per gli enti che non si adeguano la sanzione può arrivare fino al 30% degli importi.
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Spese economali, gestione delle note di accredito, verifiche di ruoli non pagati per importi superiori a 10mila euro, versamenti sostitutivi ad enti previdenziali, blocco degli addebiti in conto permute: lo split payment sta creando davvero grandi problemi agli enti locali.
Si prenda il caso delle spese economali, che per definizione sono sostenute per importi di non rilevante ammontare. Le disposizioni sullo split payment non prevedono esclusioni, né soggettive (per commercianti al minuto, artigiani o altri piccoli imprenditori), né oggettive (per acquisti riferiti a soglie minime). Per di più, la legge di stabilità fa riferimento alle operazioni effettuate, a prescindere dal fatto che esse siano documentate da fattura o da scontrino fiscale.
Facile prevedere, a questo punto, un progressivo blocco degli acquisti economali: sia di quelli effettuati con fattura (è ben difficile che un dettagliante accetti un pagamento al netto dell’Iva a fronte di prestazioni di modico valore, per le quali dovrà per di più essere emessa – a partire dal 31 marzo prossimo – una fattura elettronica) sia di quelli documentati da uno scontrino fiscale.
A parte le difficoltà materiali di calcolo dell’importo netto Iva da pagare, in quest’ultimo caso si pone il problema dell’individuazione delle aliquote da applicare: l’obbligo fa esclusivamente capo al fornitore, ma il soggetto chiamato a rispondere per eventuali errori (comma 633 Stabilità) è unicamente l’ente acquirente.
Per superare una simile situazione, e recuperare elementi di flessibilità, la via maestra passa per l’esonero – ad opera del decreto ministeriale – dallo split payment delle spese economali. Una possibile alternativa è rappresentata dall’integrazione dei regolamenti di economato degli enti pubblici: se, soprattutto con riferimento agli scontrini, gli acquisti economali risultassero effettuati per conto dell’ente pubblico ma a nome proprio del dipendente che sostiene la spesa, allora lo split payment non troverebbe applicazione, dal momento che sotto il profilo Iva l’acquirente resterebbe individuato in un soggetto (il dipendente, nella sua veste di commissionario senza rappresentanza) diverso dall’ente pubblico.
A livello organizzativo, altri problemi derivano dalla necessità di riconsiderare i pagamenti per i quali è previsto l’addebito in conto (per effetto di Ri.ba, di Rid o di altri pagamenti con carta contabile). Allo stesso modo, occorrerà verificare che la percezione di aggi (per la riscossione di tributi, per sanzioni al codice della strada, e così via) avvenga – da parte dei fornitori – al netto dell’Iva. Quanto alle note di accredito, occorre la conferma che la loro gestione fiscale e contabile non ha nulla a che fare con lo split payment, nemmeno nel caso in cui nello stesso periodo di liquidazione l’ente pubblico rilevasse – in ordine ad uno stesso fornitore – un debito verso l’erario (per effetto di una fattura) ed un credito (conseguente ad una nota di accredito); in questa evenienza l’ente pubblico dovrebbe quindi riversare all’erario l’intero importo a debito, senza tener conto della nota di accredito.
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