Lo stato di dissesto finanziario di un Comune non può bloccare l’esecuzione di una sentenza che intima il pagamento di un credito, tanto più se la causa è nata prima della dichiarazione di dissesto: quando le casse dell’ente non sono in condizione di soddisfare un credito, deve intervenire lo Stato centrale, perché il Comune non è altro che un suo «componente».
La decisione è arrivata ieri dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, che ha per questa via riconosciuto il diritto di due cittadini di Benevento a vedersi riconosciuti 90mila euro (di cui 10mila per il risarcimento delle spese legali) in virtù di un credito atteso al centro di una battaglia legate avviata nel 1992.
Il 28 ottobre di quell’anno, i due avevano fatto causa al Comune per vedersi riconoscere danni e interessi per il mancato pagamento di una somma dovuta dalla fine degli anni ’80. Il 18 novembre del 2003 il Tribunale di Benevento aveva accolto il ricorso, ma pochi giorni dopo (e prima del deposito della sentenza) il Comune aveva alzato bandiera bianca e dichiarato il dissesto.
Su questo intreccio cronologico interviene la legge italiana. Il Testo unico degli enti locali (articolo 248, comma 2 del Dlgs 267/2000) bloccava le procedure esecutive dal momento del dissesto fino all’approvazione del nuovo bilancio riequilibrato, ma non risolveva i casi come quello di Benevento, in cui la controversia era sbocciata prima del default. Nel 2004, di conseguenza, era spuntata la solita norma retroattiva (articolo 5, comma 2 della legge 140/2004), che fermava anche le sentenze precedenti.
La sentenza diffusa ieri dalla Corte di Strasburgo (caso «De Luca contro Italia»; richiesta 43870/04) travolge però tutta questa impalcatura normativa. Secondo i giudici, le leggi leggi italiane che hanno fermato, anche in modo retroattivo, i pagamenti imposti da sentenze dei giudici violano l’articolo 6, paragrafo 1, della Convenzione dei diritti dell’uomo, secondo cui tutti hanno diritto a veder esaminata la propria causa «equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un tribunale indipendente e imparziale» e l’articolo 1 del Protocollo 1 della stessa Convenzione, in base al quale «ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni».
Decisiva, nel ragionamento dei giudici, è la considerazione degli enti locali come «componenti» dello Stato, che non sembra sovrapporsi con l’architettura disegnata dalla Costituzione, che nell’articolo 114 del Titolo V riformato nel 2001 pongono Comuni, Province, Città metropolitane, Regioni e Stato sullo stesso piano come elementi costitutivi della «Repubblica».
Sul piano sostanziale, comunque, l’obbligo dello Stato a pagare al posto del Comune dissestato per far eseguire una sentenza fa vacillare anche l’evoluzione delle regole sul dissesto, che proprio dal 2001 ha chiuso i rubinetti statali a copertura dei dissesti locali. Non a caso fino a quell’anno i default comunali erano stati 472, e avevano prodotto 1,2 miliardi di mutui che l’amministrazione centrale sta ancora pagando, poi i casi di dissesto locale si erano diradati fino quasi a scomparire. A riaccendere l’allarme sono state le difficoltà degli ultimi anni, sfociate nel fondo anti-dissesto varato dal Governo Monti nell’autunno 2012: fra gli aderenti ci sono tanti protagonisti dei “vecchi” dissesti (come Benevento, oltre a Napoli), ma il meccanismo sembra già zoppicare perché le restituzioni di quello che dovrebbe essere un prestito statale non sono partire e i fondi sono già stati tagliati.
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