Il problema era previsto, ma in questi giorni sta prendendo forma nei numeri che i Comuni stanno studiando per far quadrare i conti 2012, e le cifre messe nero su bianco hanno ovviamente un effetto maggiore delle previsioni generiche. Da Milano a Roma, passando per Bologna e Firenze (ma anche in città più piccole come Reggio Emilia o Terni) il problema è sempre lo stesso: con la «quota erariale» prevista dal «Salva-Italia» lo Stato si prende il 50% del gettito sugli immobili diversi dalla prima casa, e le risorse che restano non bastano a pareggiare i conti con il 2011 nonostante il rigonfiamento delle basi imponibili dettato dai nuovi moltiplicatori applicati alle rendite catastali.
A questo si aggiungono i tagli al fondo di riequilibrio, che sostituisce i vecchi trasferimenti, ed ecco che le aliquote si spingono inesorabilmente all’insù. In questo quadro «siamo costretti ad aumentare l’Imu, perché è l’unica leva che abbiamo», ragiona per esempio il sindaco di Bologna, in linea con i suoi colleghi: anche se questa “scelta”, naturalmente, aumenta le storture già presenti nell’imposta e costringe i contribuenti a salvare con una mano il bilancio del Comune e con l’altra quello dello Stato (la «quota erariale» vale quasi 10 miliardi di euro).
Musiche simili suonano in tutte le città. A Milano, che quest’anno deve fare i conti con uno squilibrio di parte corrente da 582 milioni (e un potenziale sforamento del Patto per 773 milioni), l’aumento dell’Imu è praticamente dato per scontato. L’ipotesi più probabile è che Palazzo Marino decida di lasciare ferma l’aliquota sull’abitazione principale, mantenendola al 4 per mille, concentrando gli aumenti sugli altri immobili. Il problema in più, qui, è dato dal fatto che la vecchia Ici era particolarmente leggera (l’aliquota ordinaria era al 5 per mille, contro il 6,5 della media nazionale), per cui il passaggio all’Imu si farà sentire ancora di più. Sulle abitazioni, le ipotesi di Palazzo Marino parlano di un’Imu al massimo (10,6 per mille) per le case lasciate vuote (che però con la nuova imposta non pagano più l’Irpef sui redditi fondiari), e di un occhio di riguardo per quelle quelle affittate a canone concordato (4,6 per mille), mentre per le locazioni di mercato l’aliquota si potrebbe attestare al 9,6 per mille. Sul versante delle attività economiche, anche se non sono chiari gli spazi effettivi di autonomia nella differenziazione delle aliquote per categorie, Palazzo Marino studia un trattamento articolato: per le banche e le assicurazioni si pensa all’aliquota massima del 10,6 per mille, per i negozi al 9,6 e per le attività artigianali al 7,6. Se queste ipotesi saranno confermate da Giunta e Consiglio, per negozi e abitazioni in affitto di mercato l’imposta è destinata a triplicare, mentre sulle imprese si profila un aumento di 2,3 volte (si vedano le tabelle a fianco).
A Firenze, dove il bilancio di previsione sarà approvato in Giunta dopodomani, è arrivato da twitter il primo annuncio da parte del sindaco Renzi sull’intenzione di mettere nel mirino soprattutto le case sfitte (10,6 per mille), mentre per gli altri immobili si studia il 9,6 per mille tenendo ferma l’abitazione principale al 4 per mille. «Di troppe tasse si muore», ha avvertito però sempre Renzi, e Firenze andrà in controtendenza sull’Irpef limando l’addizionale dal 4 al 3 per mille. Dove i conti sono in emergenza, l’ipotesi sconti non può avere cittadinanza, e gli incrementi rispetto alle aliquote di riferimento rischiano di abbracciare anche la prima casa. È il caso di Roma, dove i tecnici valutano anche il 6 per mille sull’abitazione principale e il 9,6 o 10,6 sul resto, e di Torino, dopo lo sforamento annunciato del Patto 2011: per la prima casa si pensa al 5 per mille e per gli altri immobili al 9,6 per mille, con possibili alleggerimenti per gli affitti a canone concordato.
di Sara Monaci e Gianni Trovati
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