Con comunicato del 22/01/2015 la rivista telematica dell’Agenzia delle entrate rende noto che:
La legge 190/2012 “Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione dell’illegalità nella Pubblica Amministrazione”, entrata in vigore il 28 novembre 2012, è stata varata per superare l’inadeguatezza dell’ordinamento nazionale, in attuazione del recepimento degli impegni internazionali assunti con la sottoscrizione delle Convenzioni di Mérida e di Strasburgo.
Pur nell’innegabilità dell’annoso ritardo dell’intervento, la risposta al fenomeno corruttivo resa dal provvedimento sembra adeguata, in quanto non limitata solo a un formale adeguamento agli obblighi assunti a livello internazionale e all’inasprimento delle sanzioni dei delitti contro la Pa.
La legge ha una struttura di contenitore, limitata a due articoli: il primo, di ben 83 commi, mostra una evidente attenzione nel disciplinare materie anche fortemente disomogenee (tra l’altro, prevede modifiche a codice penale, codice di procedura penale, codice civile, legge 241/1990 e ai decreti legislativi 167/2000, 165/2001, 231/2001, 163/2006), con un coordinamento assai complesso tra le disposizioni introdotte o modificate, soprattutto a causa del diverso rango delle fonti interessate e della necessità di prevedere l’armonizzazione della normativa regionale con quella statale. Il secondo, invece, di due soli commi, è la clausola di invarianza finanziaria o di spesa.
Il legislatore della “Severino”, nel testo poi approvato dal parlamento, ha operato una valutazione su cause, effetti e azioni di possibile contrasto del fenomeno, conformando la norma a tale analisi:
- la corruzione ha origine e si sviluppa nella Pa, ma ha sempre un impatto esterno, per l’influenza che essa esercita sui rapporti economici nella società
- la lotta alla corruzione deve avere origine nella stessa Pa, attraverso sistemi di verifica interni non solo dell’efficienza e dell’efficacia dell’azione amministrativa, ma anche della sua legittimità
- l’attività di controllo deve far capo a ben individuati organi, responsabili di eventuali omissioni.
Gli elementi di maggiore rilievo della legge 190/2012 sono risultati, di conseguenza:
- creazione di una Autorità nazionale anticorruzione, con compiti di controllo e indagine sulla pubblica amministrazione
- designazione di responsabili per il contrasto alla corruzione in tutti gli enti pubblici, inclusi quelli locali, con rotazione di cariche e incarichi nei settori più a rischio
- accountability e trasparenza dell’attività delle amministrazioni pubbliche, in particolare nel settore degli appalti e degli incarichi in società controllate
- inasprimento delle pene e, in alcuni casi, ridefinizione dei reati di corruzione e concussione, nonché recepimento della nuova fattispecie di “traffico di influenze”
- tutele per i dipendenti pubblici che denuncino episodi di corruzione.
La riforma è stata ritenuta un “provvedimento omnibus”, di complessa sostenibilità in quanto va a disciplinare una eterogeneità di situazioni, per lo più rientranti nell’alveo dell’attività amministrativa e dell’organizzazione aziendale pubblica, ma comunque anche rilevanti in ambito penale. A questo si aggiungano i rischi derivanti dall’eccessiva tipizzazione delle norme introdotte o novellate, così da generare l’effetto opposto a quello auspicato e lasciare margini di impunità per nuove forme d’illegalità, non individuate dalla legge e dai provvedimenti delegati.
È indubitabile che il legislatore ha dato priorità alle funzioni di prevenzione nonché di controllo e monitoraggio, ma nel contempo ha in parte trascurato la precisa individuazione a fini sanzionatori dei criteri di valutazione delle responsabilità da illeciti.
Tuttavia, la necessità di sviluppare una efficace azione di prevenzione direttamente nell’ambito della funzione amministrativa, per anticipare la funzione di repressione propria dell’Autorità giudiziaria, sono state risolte soprattutto grazie alla valenza disciplinare attribuita al nuovo codice di comportamento dei dipendenti pubblici.
Così, per contrastare più efficacemente il fenomeno della corruzione, l’attività di prevenzione ha assunto il decisivo ruolo di concorrere nella dissuasione dei dipendenti e, più in generale, dei soggetti rivestiti di una pubblica funzione dal porre in atto azioni illecite, sviluppandone la correttezza e incidendo positivamente sull’etica dell’Amministrazione pubblica. L’interesse all’aspetto morale si accresce e diffonde attraverso i codici etici e di comportamento, legati a un adeguato sistema di responsabilità disciplinare e a una efficace disciplina delle incompatibilità, con una opportuna formazione, con l’innalzamento del livello di trasparenza amministrativa, con il ricorso a procedure di controllo e deterrenza quali gli audit interni.
La legge 190, tuttavia, non tiene conto che le dimensioni e le tipologie organizzative delle pubbliche amministrazioni sono mutevoli e variegate e che gli enti più piccoli, soprattutto quelle autonomie locali impegnate nell’erogazione dei servizi primari alla collettività e al tempo stesso afflitte da carenza di risorse umane ed economiche, incontrano difficoltà crescenti tanto più le loro dimensioni sono ridotte.
Il fenomeno corruttivo è fortemente collegato alla trasparenza dell’azione amministrativa, da intendersi, dal punto di vista dei soggetti portatori d’interessi, come facoltà loro riconosciuta di assumere liberamente informazioni su comportamenti, atti e decisioni della Pubblica amministrazione nonché sui profili personali dei titolari degli organi. La trasparenza è infatti un elemento profondamente collegato alla facilità di comprensione dell’azione amministrativa, giova alla sua semplificazione ed è strumento di realizzazione dell’accountability.
Anche gli obblighi di pubblicazione, declinazione del principio di trasparenza, non risultano differenziati da ente a ente per tipologia, dimensione e caratteristiche organizzative; manca inoltre un qualsiasi elemento atto a chiarire le zone di sovrapposizione con la normativa sul trattamento dei dati, in particolare quelli sensibili. Altresì, quantunque si parli diffusamente di esigenze di pubblicazione nella legge 190 e nei provvedimenti delegati, in particolare nel Dlgs 33/2013, informazioni, prescrizioni di dettaglio e note tecniche di elaborazione dei dati di obbligatoria pubblicazione appaiono eccessivamente sintetiche, con la conseguente necessità di ricorrere alla consultazione dei documenti di prassi. Manca ancora un concreto sviluppo dell’indispensabile collegamento fra performance e trasparenza.
Le Convenzioni Onu di Mérida (articolo 33) e Ue di Strasburgo (articolo 9) hanno previsto (nel primo caso, non come obbligo, ma come facoltà per gli Stati membri) l’inserimento nelle normative nazionali di recepimento di apposite clausole di riservatezza a tutela di chi intenda denunciare casi di corruzione. Il legislatore nazionale, con la legge 190/2012, avrebbe forse potuto sviluppare maggiormente le indicazioni delle convenzioni, e questa tendenza può già essere rilevata dalla limitatezza dello spazio dedicato allo whistleblowing (un solo comma nella legge 190 e un solo articolo, il 54-bis, nel Dlgs 165/2001), il che non ha al momento permesso di disciplinare tutte le fattispecie di segnalazione di ipotesi di corruzione.
Prima di dar conto, seppur sommariamente, dell’impianto della norma, sembra opportuno sviluppare alcune considerazioni sull’impatto dell’entrata in vigore della norma sulle Pubbliche amministrazioni.
Non si può escludere che, in alcuni casi, le Pa si siano mostrate inizialmente tese più alla “cultura dell’adempimento”, privilegiando il rispetto degli aspetti meramente formali e la pedissequa puntualità nelle tempistiche e nelle procedure, che alle prioritarie finalità perseguite dal legislatore e alle logiche di efficacia, efficienza ed economicità che informano l’azione amministrativa.
La corruzione trova infatti terreno fertile nell’eccesso di norme e oneri procedimentali, nella ridotta qualità della burocrazia e in sistemi sanzionatori inefficaci. La norma non può essere in grado di attingere tutte le fenomenologie di abuso della funzione pubblica, ma l’individuazione di efficaci strumenti di contrasto ha comunque permesso di sviluppare una “cultura della responsabilità”.
A questo si deve accompagnare la crescita di un’altra cultura, quella degli obiettivi, accompagnata da meccanismi premiali per i dirigenti che sviluppino efficaci azioni, coerenti con l’impianto normativo, così da realizzare concretamente il contrasto alla corruzione: “prevenire la corruzione significa innanzitutto puntare su un’amministrazione efficiente ed efficace. La corruzione trova terreno fertile nell’eccesso di norme e oneri burocratici, nella scarsa qualità della burocrazia e in sistemi sanzionatori percepiti come inefficaci. Le attività di prevenzione e di promozione della trasparenza devono essere sostenibili, in relazione alla dimensione e alle caratteristiche organizzative e funzionali delle amministrazioni. Va superata la cultura dell’adempimento e promossa la cultura del risultato” (A piccoli passi verso la trasparenza: l’impegno delle Pubbliche Amministrazioni italiane contro la corruzione. Autorità Nazionale Anticorruzione 30 maggio 2013).
Dopo le iniziali diffidenze proprie della prima fase di attuazione della normativa, le pubbliche amministrazioni, per garantire l’effettività del controllo sociale, stanno avvertendo sempre più l’esigenza di pubblicizzare a beneficio dei cittadini e delle altre categorie di stakeholders l’attività sviluppata e di rendere conto dell’azione amministrativa esercitata, dei servizi resi alla collettività e, più in generale, della performance.
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