ANCITEL – Il rimborso delle spese legali ai dipendenti

ANCITEL risponde alla seguente domanda.

DOMANDA:

Nei confronti di un dipendente è stata emessa sentenza di non luogo a procedere per il reato di cui all’art. 615 c. 1 e 3 del c.p.. in quanto i locali interessati non sono stati configurati come dimora privata. Nel procedimento in questione, persona offesa è altro sovraordinato all’indagato. Nelle motivazioni della sentenza non si esclude, né si ammette la riferibilità all’indagato dei dispositivi di registrazione rinvenuti e sequestrati in quanto l’interessato non è stato colto nell’atto dell’installazione degli stessi. L’art. 28 del contratto di categoria del 14/09/2000 disciplina il rimborso delle spese legali nei confronti dei dipendenti ponendo determinate condizioni. Si domanda se nel caso di specie possano ritenersi sussistenti tali condizioni stante le dette motivazioni della sentenza, segnalandosi la difficoltà sia a ritenere il comportamento imputato posto in essere a causa e nell’esercizio delle funzioni e sia a escludere il conflitto di interessi con l’ente.

RISPOSTA:

La giurisprudenza amministrativa ha enucleato i presupposti (oltre a quelli risultanti dall’art. 28 del C.C.N.L. 14.09.2000) che devono ricorrere affinché l’ente possa assumere l’onere dell’assistenza legale del dipendente. a) l’assenza di dolo e colpa grave in capo al dipendente sottoposto a giudizio; b) il giudizio deve riguardare atti o fatti strettamente connessi all’espletamento dell’attività istituzionale del dipendente; c) l’assenza, in concreto, di conflitti di interesse tra il dipendente e l’ente di appartenenza; d) che, se il rimborso sia chiesto ex post, la spesa deve rispondere a parametri di obiettiva congruità e non deve esservi conflitto d’interessi con l’ente. La Corte dei Conti ed il Consiglio di Stato sono inoltre orientati ad affermare che, se il procedimento si conclude con il proscioglimento, il diritto al rimborso sussiste soltanto nelle ipotesi di cui agli artt. 529 e 530, comma 1, cod. pen., rispettivamente di non luogo a procedere e di proscioglimento nel merito. Nella fattispecie in esame, il dipendente è stato querelato per il reato di cui all’art. 615 bis comma 1 e 3 c.p., ossia per aver fatto uso di strumenti di ripresa visiva o sonora, “per procurarsi indebitamente notizie o immagini attinenti alla vita privata” di un altro dipendente dell’ente. Il giudice ha dichiarato il non luogo a procedere, in quanto i locali interessati non sono stati configurati come dimora privata (mentre, per la configurabilità del reato, occorre che esso sia commesso nei luoghi indicati nell’articolo 614 c.p.). Tuttavia non si è pronunciato, attenendo al merito, sull’addebitabilità all’indagato dell’installazione dei dispositivi di registrazione rinvenuti e sequestrati, né l’imputato è stato colto nell’atto di farlo. Dall’analisi emerge come non sia certamente sussistente il presupposto di cui alla lett. b), necessario affinché l’ente possa assumere l’onere della refusione delle spese legali del dipendente. Inoltre, non si ha la certezza riguardo all’esistenza dei requisiti di cui alla lett. c). Non si può infatti sostenere che il giudizio abbia riguardato atti o fatti strettamente connessi all’espletamento dell’attività del dipendente. L’installazione di un registratore nella stanza di un collega, sia o meno realmente imputabile al dipendente querelato, è comunque estranea all’attività del dipendente (non potendo realizzare tale connessione la semplice circostanza di essere avvenuta sui luoghi di lavoro e nei confronti di altro dipendente). Il fatto poi che la sentenza si è fermata sull’improcedibilità per mancanza di un elemento fondamentale della fattispecie di reato, e non si è pronunciata sul merito dell’addebitabilità al dipendente del comportamento non costituente reato, non esclude la sussistenza – almeno potenziale – del concreto conflitto di interesse tra il dipendente e l’ente di appartenenza.

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