1. La fattispecie in esame
L’oggetto del contenzioso è costituito dalla contestazione dell’esercizio da parte di un comune dei poteri di autotutela in ordine ad una procedura di finanza di progetto relativa alla ristrutturazione di una villa prestigiosa, di proprietà dell’ente. La procedura era stata avviata, ai sensi dell’art. 37-bis della legge n. 109/1994, su proposta dell’impresa appellata e prevedeva la ristrutturazione della villa a fronte della concessione della gestione trentennale dell’immobile stesso, che sarebbe stato dato in locazione al comune previo versamento di un canone. Approvata la proposta, la gara indetta per l’individuazione della migliore offerta ai sensi dell’art. 37-quater della legge n. 109/1994 si concludeva con l’aggiudicazione alla stessa impresa.
In data 11.9.2003 veniva stipulato il relativo contratto, poi modificato a seguito di alcune osservazioni della Soprintendenza, con cui l’impresa si obbligava a realizzare la ristrutturazione del corpo A della Villa e il recupero del corpo B (per una spesa complessiva prevista di euro 1.555.00), nonché a realizzare le opere di urbanizzazione su un’area con una potenzialità edificatoria di mq 15.000 attigua alla Villa stessa (per un importo stimato di euro 833.000); il comune, da parte sua, avrebbe ceduto un’area attigua all’impresa esecutrice ed avrebbe inoltre corrisposto un canone annuo di euro 65.000 per la locazione trentennale della Villa, pari alla durata della concessione della sua gestione all’impresa stessa. Con nota 19.7.2005 l’impresa trasmetteva al comune gli elaborati della progettazione architettonica esecutiva dei lavori.
Nel frattempo, il comune avviava una procedura diretta ad ottenere un finanziamento regionale per la realizzazione di un intervento che, pur riguardando la medesima Villa Clementi, aveva tuttavia un diverso oggetto, e cioè la biblioteca, prima sempre esclusa dai lavori approvati ed affidati alla ricorrente (intervento, questo, che veniva appaltato ad un’impresa diversa). Con nota 2.11.2007, il comune comunicava l’avvio del procedimento preordinato all’annullamento in autotutela della procedura di finanza di progetto sulla base di asseriti vizi di legittimità. Con deliberazione 29.7.2008 n. 32 il consiglio comunale di Malo annullava l’approvazione della procedura di project financing e con successiva deliberazione 16.9.2008 n. 96 la giunta comunale confermava il suddetto annullamento, cui faceva seguito la conforme determinazione dirigenziale 30.9.2008, n. 445.
Con sentenza n. 210/2011 il TAR per il Veneto ha accolto il ricorso proposto dall’impresa avverso gli atti indicati aventi ad oggetto l’annullamento in autotutela della procedura di finanza di progetto avviata ai sensi dell’art. 37-bis della legge n. 109/1994. Con la stessa sentenza il giudice di primo grado ha condannato il comune al pagamento in favore dell’impresa, a titolo di indennizzo ex art. 158 del d.lgs. n. 163/2006, della somma di euro 200.869,48, di cui euro 25.369,48 per i costi sostenuti in conseguenza della risoluzione del rapporto e euro 175.500 per il mancato guadagno. Ciò in quanto il giudice ha rilevato l’insussistenza di vizi di illegittimità dell’atto annullato e ritenendo che l’amministrazione avesse esercitato il potere di revoca a seguito di una nuova valutazione dell’interesse pubblico.
2. La genesi dell’istituto
A livello locale la necessità di garantire uno stretto raccordo tra le previsioni finanziarie e le scelte operate, al fine di permetterne la realizzazione, si ha nel 1995, con l’approvazione del d.lgs. 77. Con la legge 23 dicembre 1996, n. 662 viene introdotta una puntuale disciplina della c.d. programmazione negoziata e dei suoi strumenti attuativi, quali patti territoriali e contratti d’area. La finalità perseguita è di promuovere la collaborazione tra più soggetti, al fine di creare le condizioni in grado di assicurare un’efficace attuazione degli interventi programmati, attraverso l’adozione di procedure il più possibile semplificate, la fissazione di tempi certi e di precisi impegni finanziari. Nel 1999, contestualmente alla predisposizione del quadro comunitario di sostegno per il periodo 2000-2006 nell’ottica di accedere alle risorse finanziarie comunitarie stanziate per l’obiettivo 1, si dà vita alla “nuova programmazione” fondata, da un lato, sul partenariato istituzionale (concertazione tra i diversi livelli istituzionali comunitario, nazionale, regionale e locale) e, dall’altro, sul partenariato sociale (coinvolgimento nelle scelte programmatiche territoriali e nella loro concreta attuazione, anche mediante apporto di capitale, di tutti i soggetti che vi operano, compresi i privati).
L’attenzione a formule di articolate collaborazioni tra pubblico e privato si è fortemente sviluppata in Italia nel 1999 con l’introduzione nella Legge sui lavori pubblici di una procedura che prevede l’aggiudicazione, a seguito della proposta del promotore privato, di un “contratto per la costruzione e gestione” in cui l’investimento per un opera pubblica o di interesse pubblico viene affrontato da un privato a fronte del diritto di trattenere i flussi di cassa prodotti dalla gestione, formula anche nota al grande pubblico come finanza di progetto o project financing.
Dalla l. n. 415/1998 (Merloni ter) l’istituto è stato trasfuso nel d.lgs. 163/2006 agli artt. 152-160, nonché, per le sole infrastrutture strategiche, agli artt. 161-175, riproponendo pressoché pedissequamente la regolamentazione della legge n. 109/1994 e delle sue successive modificazioni.
I decreti correttivi vi hanno apportato sostanziali modifiche al fine di renderne la procedura applicativa conforme al diritto comunitario: in particolare, la versione originaria del codice in materia prevedeva l’attribuzione del diritto di prelazione al soggetto individuato come promotore dalla stazione appaltante, contestualmente alla dichiarazione di pubblico interesse relativa alla sua proposta: la norma è stata oggetto di censura da parte della Comunità Europea (che ha aperto una procedura di infrazione a riguardo), perché il diritto di prelazione non veniva attribuito a seguito di un procedimento ad evidenza pubblica, ed era quindi contrastante con le regole comunitarie sulla concorrenza.
Anche se il d.lgs. 113/2007 (II correttivo) ha abolito il diritto di prelazione, la Commissione ha ritenuto la disciplina italiana sul project financing ancora contrastante con le direttive comunitarie (procedura di infrazione n. 2309/2007), sotto il duplice profilo della mancata previsione di adeguate forme di pubblicità sovranazionale e della permanenza di una posizione di favore in capo al promotore, che veniva direttamente ammesso ad una procedura negoziata con i primi due classificati della gara pubblica svolta sulla base della sua proposta (quindi, di nuovo, senza aver superato alcun confronto concorrenziale).
3. Il project financing: definizioni
Il project financing, quale species del genus più ampio del partenariato pubblico-privato (PPP), rappresenta il più conosciuto e diffuso modello di cooperazione pubblico-privata per la realizzazione di opere pubbliche.
Esso nasce nei paesi anglosassoni come tecnica finanziaria innovativa volta a rendere possibile il finanziamento di iniziative economiche sulla base della valenza tecnico-economica del progetto stesso piuttosto che sulla capacità autonoma di indebitamento dei soggetti promotori dell’iniziativa. Secondo la definizione più diffusa, il project financing consiste in “un’operazione di finanziamento di una particolare unità economica, nella quale un finanziatore fa affidamento, sin dallo stadio iniziale, sul flusso di cassa (cash flow) e sugli utili dell’unità economica in oggetto, come la sorgente di fondi che consentirà il rimborso del prestito e le attività dell’unità economica come garanzia collaterale del prestito” (1). Per altri, invece, “il project financing è uno schema multi-contrattuale invalso nella prassi del commercio internazionale, che designa una particolare forma di finanziamento di progetti industriali di grosse dimensioni, con ripartizione dei rischi tra una molteplicità di soggetti” (2).
Dal punto di vista economico è “una tecnica finanziaria costituita da un pacchetto di prodotti e servizi bancari e finanziari avente lo scopo di realizzare una nuova attività produttiva, in forma d’impresa autonoma, attraverso opportune allocazioni dei rischi e dei corrispondenti rendimenti tra soggetti a vario titolo coinvolti nell’operazione” (3 ).
Quindi, da questo angolo prospettico, il progetto viene valutato dai finanziatori principalmente per la sua capacità di generare flussi di cassa, che costituiscono la garanzia primaria per il rimborso del debito e per la remunerazione del capitale di rischio, attraverso un’opportuna contrattualizzazione delle obbligazioni delle parti che intervengono nell’operazione. Dal punto di vista giuridico vi è l’impossibilità di dare una definizione unitaria di tale figura a causa della sua assenza quale autonomo istituto giuridico: in molti, infatti, attribuiscono al project la natura di “collante”, di collegamento tra una pluralità di contratti tipici, come quello di fornitura, di appalto, di finanziamento, di garanzia, di società, di concessione e gestione di opera pubblica, di concessione di servizi; a ciò si aggiunga che il project vede anche il coinvolgimento di atti non negoziali, quali provvedimenti amministrativi e accordi amministrativi.
Il project è, allora, un istituto che si pone tra il diritto comune e il diritto amministrativo, quale tecnica di finanziamento di opere pubbliche, il cui rimborso viene, principalmente, garantito dai flussi di cassa (cash flow) che il progetto sarà in grado di generare. Già da queste prime indicazioni si comprende come la fase di gestione dell’opera costituisce elemento di primaria importanza, in quanto soltanto una gestione efficiente e qualitativamente elevata consente di generare i flussi di cassa necessari a rimborsare il debito e remunerare gli azionisti.
Recentemente il Consiglio di Stato lo ha definito come una “tecnica finanziaria che, da una parte, consente la realizzazione di opere pubbliche senza oneri finanziari per la pubblica amministrazione e dall’altra, si sostanzia in un’operazione di finanziamento di una particolare attività economica idonea ad assicurare una fonte di utili, in grado di consentire il rimborso del prestito e la gestione proficua dell’attività stessa; in altri termini, l’attività economica promossa deve avere la capacità di autofinanziarsi” . I motivi del gran successo che questa forma di collaborazione tra pubblico e privato sta riscuotendo sono da individuare nei grandi benefici che ne possono trarre il settore pubblico, quello privato e l’utenza, ma soprattutto nella possibilità di assicurare servizi migliori ad un costo più basso per il contribuente.
Tale obiettivo, però, dev’essere perseguito nel rispetto dei principi di derivazione comunitaria in materia di concorrenza.
4. Il project financing e il rischio d’impresa
Si è sostenuto che il rischio d’impresa, assunto quale mancante nel caso di specie, costituisce elemento essenziale di una procedura di project financing con conseguente illegittimità di un’operazione che prevede, invece, a carico della p.a. le risorse idonee a coprire l’intero importo dei lavori.
In realtà, l’istituto del project financing comporta la necessaria partecipazione finanziaria del soggetto promotore, cui può aggiungersi l’eventuale contributo pubblico; si tratta, tuttavia, di una procedura caratterizzata da un elevato tasso di elasticità, che consente di adattare il progetto alle specifiche esigenze delle parti.
Nel caso di specie, erano stati previsti oneri a carico dell’amministrazione, che si era assunta l’impegno di pagare per trenta anni i canoni di locazione a fronte delle opere di ristrutturazione e di realizzazione dell’urbanizzazione primaria affidate all’impresa; tale struttura dell’operazione non è di per sé incompatibile con l’istituto, che consente che l’utilizzo delle risorse dei soggetti proponenti sia solo parziale (4).
Non si può neanche sostenere, poi, che il rischio dell’impresa sia nel concreto azzerato in quanto occorre tener conto del fatto che l’impegno finanziario dell’impresa è immediato (realizzazione delle opere), mentre gli oneri posti a carico dell’amministrazione sono dilazionati in trenta anni sotto forma di pagamento del canone; tale circostanza impedisce di equiparare il valore dell’importo a carico del comune con quello posto a carico dell’impresa, trattandosi di dati comparabili solo indicizzando gli importi alla data degli esborsi. Nell’ipotesi, quindi, il rischio a carico dell’impresa è contenuto, ma non annullato e il fatto che il rischio sia ridotto non rende illegittima una procedura che l’amministrazione ha autonomamente valutato come conveniente al momento della sua approvazione.
Nè si può sostenere che si era in presenza di una concessione di lavori pubblici, in quanto l’operazione posta in essere era più complessa rispetto alla mera esecuzione dei lavori a fronte della gestione dell’opera.
In sostanza, il rischio ridotto per l’impresa e la sussistenza di oneri a carico del soggetto pubblico sono elementi compatibili con l’istituto del project financing, che non rendono illegittimo l’utilizzo di tale procedura, ma che possono al limite essere rivalutati sotto il profilo dell’opportunità e della convenienza.
5. Project financing ed autotutela
Il Tar ha accolto il ricorso di primo grado, ritenendo insussistenti i presupposti per l’annullamento d’ufficio e integrati, invece, quelli della revoca, lasciando “in vita” gli impugnati provvedimenti quali revoca della procedura di project financing. Ciò è dipeso dal fatto che negli atti impugnati era effettivamente presente una commistione tra i presupposti per l’esercizio del potere di annullamento di ufficio e del potere di revoca. In effetti, ritenendo insussistenti vizi di legittimità degli atti annullati in autotutela e presenti gli elementi costitutivi di un provvedimento di revoca è possibile confermare la qualificazione degli atti effettuata dal TAR.
Al riguardo, va ricordato che l’art. 21-quinques della legge n. 241/1990 ha accolto una nozione ampia di revoca, prevedendo tre presupposti alternativi, che legittimano l’adozione di un provvedimento di revoca: a) per sopravvenuti motivi di pubblico interesse; b) per mutamento della situazione di fatto; c) per nuova valutazione dell’interesse pubblico originario. La revoca di provvedimenti amministrativi è, quindi, possibile non solo in base a sopravvenienze, ma anche per una nuova valutazione dell’interesse pubblico originario (c.d. ius poenitendi).
Nel caso di specie, la sostanziale motivazione del provvedimento è costituita appunto da una nuova valutazione dell’interesse pubblico, solo in parte legata a sopravvenienze costituite dall’intervento di urgenza eseguito sull’immobile sede della biblioteca con lavori ritenuti non compatibili con quelli oggetto del project financing. Il comune ha anche fatto riferimento alla necessità di impegnare in altro modo le somme destinate al pagamento del canone annuo da corrispondere all’impresa, rivalutando quindi l’opportunità dell’operazione.
Tenuto conto che nell’esercizio del c.d. ius poenitendi l’amministrazione gode di ampia discrezionalità, deve ritenersi che la motivazione posta a fondamento degli atti impugnati integri gli estremi di un provvedimento di revoca.
6. Autotutela ed aspetti patrimoniali conseguenti
In presenza di un provvedimento qualificato come di revoca viene meno il principale presupposto su cui è stata fondata la domanda risarcitoria, costituito appunto dall’illegittimità provvedimentale degli atti adottati dal comune per liberarsi dal vincolo assunto con la procedura in questione.
Va precisato che anche in caso di revoca legittima si può ipotizzare che al privato derivino danni risarcibili, e non meramente indennizzabili, ma ciò discende dal fatto che tali danni conseguono non già direttamente dall’atto di revoca, ma da altre illegittimità (procedimentali o di altro tipo) commesse dall’amministrazione, ma non riscontrate né dedotte nel caso di specie, in cui alcun addebito è stato mosso all’amministrazione sotto il profilo della correttezza della condotta.
Ciò comporta che l’amministrazione è tenuta a corrispondere il solo indennizzo, e non l’integrale risarcimento del danno chiesto dall’impresa, indennizzo che è stato liquidato dal TAR sulla base di criteri non oggetto di contestazione in appello e, di conseguenza, non oggetto di verifica.
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(1) K.P. Nevitt, Project financing, V ed., Londra, 1989, 3, trad. P. De Sury, Roma, 1988. (2) U. Draetta, Il Project financing nella prassi del commercio internazionale, in Dir. Comm. Int., 1994, p. 495.
(3) C. Salvato, Le operazioni di project financing: lineamenti normativi e operativi dei rapporti, in U. Draetta, C.Vaccà, Il project financing. Caratteristiche e modelli contrattuali, Milano, 1997, p. 5.
(4) In senso parzialmente difforme v. TAR Lazio, sez. III, 15.7-28.7.2010, n. 28920, secondo cui il project financing è una tecnica finanziaria che consente la realizzazione di opere pubbliche senza oneri finanziari per la pubblica amministrazione e che si sostanzia in un’operazione economico-finanziaria idonea ad assicurare utili che consentono il rimborso del prestito e/o finanziamento e gestione proficua dell’attività; così anche Cons. Stato, sez. VI, 9.6.2005, n. 3043.
di Massimiliano Spagnuolo
Fonte: La Gazzetta degli Enti locali
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