Ottenuto l’annullamento parziale di un atto definitivo, si può impugnare il debito residuo? In altri termini, si considera la pretesa parziale come un atto nuovo oppure no? In sostanza, contenendo un parziale diniego di autotutela, tale atto è per questo impugnabile?
A queste domande ha dato risposta la Corte di cassazione che, con la sentenza n. 7511 del 15 aprile 2016, ha sancito che non è impugnabile il provvedimento di rifiuto parziale di autotutela rispetto alla pretesa del Fisco contenuta negli atti diventati definitivi, perché il provvedimento non può comportare alcun cambiamento lesivo degli interessi del contribuente rispetto a quanto a lui già noto.
Il fatto
La Commissione tributaria regionale ha confermato la decisione di primo grado che, in accoglimento dei ricorsi riuniti, proposti dal contribuente, aveva ridotto l’accertamento del reddito Irpef e Ilor, determinato sinteticamente dall’ufficio ex articolo 38, comma 4, Dpr 600/1973, sulla base dei beni posseduti, in particolare di un immobile e di una barca a vela.
Il giudice del riesame ha disatteso l’eccezione di inammissibilità dei ricorsi introduttivi, reiterata anche in appello dall’amministrazione finanziaria, poiché diretti non contro gli originari avvisi di accertamento, bensì nei confronti di successivi provvedimenti di annullamento parziale degli stessi emessi in autotutela su istanza del contribuente.
Nel susseguente ricorso per cassazione, la difesa erariale riassume la tesi già svolta nei gradi di merito circa l’inoppugnabilità del provvedimento di diniego in autotutela, trattandosi di atto non compreso nella tassativa elencazione contenuta nell’articolo 19 del Dlgs 546/1992.
Motivi della decisione
Nell’analizzare le questioni poste dal ricorso erariale, la Corte suprema sottolinea innanzitutto la pacificità che gli atti impugnati siano effettivamente non gli avvisi di accertamento originari, bensì il provvedimento reso sull’istanza di annullamento degli stessi in autotutela, istanza accolta solo in parte (ai sensi degli articoli 2 e 5, Dm 37/1997).
Altra circostanza incontestata, è che gli atti originari non sono stati ex se impugnati e sono pertanto divenuti definitivi, prima dell’emissione del provvedimento in autotutela, che ha annullato parzialmente gli stessi.
Ciò premesso, nella sentenza 7511/2016, la Corte suprema, dopo aver ricordato che l’atto con cui il Fisco nega l’autotutela di un provvedimento impositivo diventato definitivo non è impugnabile, rammenta, allo stesso modo, che un precedente giurisprudenziale favorevole al contribuente (cfr Cassazione, 14243/2015) ha ritenuto impugnabile l’annullamento parziale in autotutela di un avviso impositivo già definitivo, trattandosi di un atto contenente la manifestazione di una compiuta e definitiva pretesa tributaria, rispetto a cui, pur se riduttivo dell’originaria pretesa, non può privarsi il contribuente della possibilità di difesa.
In tale contesto si è aggiunto che l’elencazione degli atti impugnabili, tenuto conto dell’allargamento della giurisdizione tributaria operata con la legge 448/2001, deve essere interpretata alla luce delle norme costituzionali di buon andamento della Pa e di tutela del contribuente, riconoscendo l’impugnabilità davanti al giudice tributario di tutti gli atti adottati dall’ente impositore a supporto di una ben individuata pretesa tributaria.
Tali argomenti, secondo la sentenza 7511/2016, non sono però convincenti a supporto della soluzione accolta, apparendo al contrario dirimente il rilievo che, se si tratta di annullamento parziale o comunque di provvedimento di autotutela di portata riduttiva rispetto alla pretesa impositiva contenuta negli atti divenuti definitivi, esso non può comportare alcuna effettiva innovazione lesiva degli interessi del contribuente rispetto al quadro a lui già noto e consolidatosi in ragione della mancata tempestiva impugnazione del precedente accertamento, potendo semmai ammettersi una autonoma impugnabilità del nuovo atto solo se di portata ampliativa rispetto all’originaria pretesa impositiva.
Orientamento favorevole all’amministrazione
Viene così valorizzata altra pronuncia della Cassazione (cfr sentenza 3698/2009, confermata da Cassazione 15220/2012, 15194/2014 e 25563/2014), con la quale le sezioni unite sono giunte alla conclusione che l’atto di rifiuto di autotutela impugnato dal contribuente non fosse riconducibile ad alcuna delle categorie individuate dall’articolo 19, Dlgs 546/1992, in quanto espressione di attività “confinata nel campo amministrativo”.
Ciò in quanto, avverso l’atto con il quale l’amministrazione manifesta il rifiuto di ritirare, in via di autotutela, un atto impositivo divenuto definitivo (come nella fattispecie) non è sicuramente esperibile un’autonoma tutela giurisdizionale, sia per la discrezionalità propria, in questo caso, dell’attività di autotutela, sia perché, diversamente opinando, si darebbe inammissibilmente ingresso a una controversia sulla legittimità di un atto impositivo ormai definitivo.
È stato peraltro aggiunto al riguardo che il concreto ed effettivo esercizio, da parte dell’Amministrazione, del potere di annullamento d’ufficio e/o di revoca dell’atto contestato non costituisce un mezzo di tutela del contribuente sostitutivo dei rimedi giurisdizionali che non siano stati esperiti (cfr sezioni unite 16097/2009).
La riscossione pubblica nel 2016
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