Danno erariale per la mancata motivazione di lavori di somma urgenza

26 Settembre 2018
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La Sezioni Unite della Corte di Cassazione (sentenza 13/09/2018 n.22399) sono state chiamate a decidere sulla correttezza della condanna erariale inflitta al responsabile del servizio per violazione della normativa sui lavori di somma urgenza. In particolare la Corte dei conti aveva, anche in sede di appello, confermato la condanna erariale al dirigente per il debito fuori bilancio nascente da una procedura, a suo dire, di somma urgenza, ma non regolata nei termini previsti dalla normativa.

La rilevazione del danno

Il Collegio contabile imputava al dirigente l’affidamento di lavori con urgenza in assenza di contratto, sottoscritto solo anni dopo, e in mancanza delle verifiche in ordine al possesso dei requisiti oggettivi e soggettivi da parte del soggetto aggiudicatario, tanto che successivamente l’amministrazione decideva di mettere a bando i lavori mediante specifica procedura ristretta. Secondo la difesa del dirigente le omissioni procedurali erano state determinate dallo stato di urgenza. Al contrario il Collegio contabile ha evidenziato come lo stato di urgenza qualificato, quello che legittima la deroga a una norma, secondo la giurisprudenza nazionale e comunitaria deve essere connotato da elementi strettamente oggettivi e non da comportamenti che hanno indotto a qualificare lo stato di fatto come tale. La condanna del dirigente discendeva, pertanto, da una carente necessaria attenzione amministrativa che, pur dovendo tenere conto
delle aspettative della popolazione e degli “aventi diritto”, avrebbe dovuto tenere in debito conto anche le misure di cautela a tutela dell’amministrazione stessa.
A fronte della sentenza per danno erariale il dirigente ha adito le Sezioni Unite della Cassazione per aver i giudici contabili invaso i propri limiti esterni avendo giudicato l’affidamento privo degli elementi essenziali della somma urgenza, trattandosi invece di una valutazione soggettiva propria del responsabile del servizio, il quale deve attendere la migliore cura dell’interesse pubblico che, nel caso di specie, poteva ritenersi provato.

Le indicazioni della Suprema Corte

Secondo i giudici di Piazza Cavour il ricorso è inammissibile in quanto nei confronti dei giudizi contabili si è da sempre precisato il principio di insindacabilità nel merito delle scelte discrezionali compiute dai soggetti sottoposti alla giurisdizione della Corte dei conti solo quelle che siano conforme alla legge che regola l’attività amministrativa, con la conseguenza che il giudice contabile non viola i limiti esterni della propria giurisdizione quando accerta la mancanza di tale conformità. Nel caso di specie, il giudice contabile ha correttamente sindacato le scelte discrezionali dell’agente, senza perciò debordare dai limiti esterni fissati al suo potere giurisdizionale. Infatti, la Corte dei conti ha osservato come i lavori erano stati affidati con urgenza all’impresa in assenza di contratto, in mancanza delle verifiche in ordine al possesso dei requisiti oggettivi e soggettivi da parte del detto appaltatore aggiudicatario, e infine quando la stazione appaltante, a modifica della precedente delibera, aveva deciso di far ricorso alla licitazione privata. Successivamente, è stato anche rilevato che lo stato di urgenza qualificato, quello che legittima la deroga a una norma, secondo la giurisprudenza nazionale e comunitaria deve essere connotato da elementi strettamente oggettivi e non da comportamenti che hanno indotto a qualificare lo stato di fatto come tale. Il fatto che la stazione appaltante avesse di per sé deciso di fare ricorso a selezione tramite gara, dimostrava che nell’intendimento dell’amministrazione non era presente alcun carattere d’urgenza, e che anche se si fosse prescelto un metodo selettivo semplificato, non vi era intenzione da parte della medesima stazione appaltante di omettere gli elementi essenziali della procedura quale in particolare la stipula del contratto. Neppure poteva essere sottovalutato il mancato accertamento dei requisiti oggettivi e soggettivi in capo alla ditta interessata.
In conclusione la Suprema Corte conferma come la condotta del dirigente fosse stata carente di quella necessaria attenzione amministrativa che, pur dovendo tenere conto delle aspettative della popolazione e degli “aventi diritto”, avrebbe dovuto tenere in debito conto anche le misure di cautela a tutela dell’amministrazione stessa.

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