Perché anche l’IRAP rientra tra i compensi degli avvocati
Non vi è alcun dubbio, sostiene il Collegio contabile umbro, che le Sezioni riunite abbiano evidenziato nitidamente che l’IRAP sia un tributo la cui obbligazione grava esclusivamente sull’ente pubblico datore di lavoro, talché non è giuridicamente corretto che essa sia ricompresa tra gli oneri riflessi a cui fa riferimento l’art. 1, comma 208 della legge n. 266 del 2005. Tuttavia, non può essere revocato in dubbio come altrettanto nitidamente l’IRAP costituisce una componente della spesa del personale, come tale da considerare ai fini del rispetto dei vincoli di finanza pubblica a cui è assoggettata tale voce di spesa. Al riguardo, è appena il caso di ricordare che l’IRAP è costantemente ed espressamente considerata come spesa rientrante tra quelle per il personale dalla legislazione vincolistica (v. art. 1, comma 198 l. n. 266/2005 cit.; art. 1, commi 557 e 562 l. n. 296/2006). Proprio per questa ragione, molte deliberazioni delle Sezione regionali di controllo (tra le tante le Sezioni di controllo della Basilicata – Deliberazione n.115/2013; della Liguria – Deliberazione n. 38/2014 del 30 maggio 2014; del Veneto – Deliberazione n. 393 del 9 settembre 2014; della Lombardia – Deliberazione n. 469/2015 del 16 dicembre 2015) hanno chiarito come l’IRAP avrebbe dovuto essere finanziata con i fondi lordi appositamente stanziati (al netto delle risorse necessarie alla copertura dell’onere IRAP), non potendo costituire un onere finanziario “aggiuntivo” per l’ente.
Tale orientamento è stato, successivamente confermato nella sopravvenuta modifica della normativa sui compensi degli avvocati interni operata dall’art. 9 del d.l. 24/06/2014, n. 90. Si è ivi rilevato, infatti, che la nuova disciplina legislativa ammette la possibilità di preventivo scorporo dell’IRAP dalle somme attribuibili agli avvocati dipendenti.
Nessuna differenza tra spese riscosse da terzi e spese compensate
Chiarito che l’IRAP non può che essere inclusa nella voce dei medesimi compensi degli avvocati, il Collegio contabile verifica tale assunto sia in merito alle spese ricevute dalla parte soccombente sia in caso di vittoria ma con spese compensate.
Per quanto concerne il compenso che trae copertura dal cd. riscosso (cioè dalle somme introitate dall’ente per effetto della condanna della controparte, da parte del giudice, alla rifusione delle spese legali in favore dell’ente medesimo), già a suo tempo la Sezione della Lombardia (deliberazione n.469/2015) aveva modo di evidenziare come nel regolamento approvato dall’ente locale nel determinare i compensi spettanti agli avvocati interni, deve preventivamente decurtare, dalle somme recuperate dalle controparti a titolo di spese giudiziali, l’onere necessario al pagamento dell’IRAP, al fine di provvedere, al momento della concreta liquidazione dei compensi ai dipendenti avvocati, al versamento all’erario di quest’ultima (che, come noto, incombe sull’ente datore di lavoro). La norma, infatti, permette all’amministrazione di determinare, oltre che le modalità, la “misura” del compenso spettante al dipendente avvocato, a fronte di un contenzioso risolto a favore dell’ente e con pagamento delle spese a carico della controparte. Tale facoltà è resa evidente, in maniera simmetrica, nell’ultimo periodo del medesimo comma 3, in base al quale “la parte rimanente delle suddette somme è riversata nel bilancio dell’amministrazione”.
In caso di vittoria della causa, ma con spese compensate, prevede che ai dipendenti siano corrisposti compensi professionali in base alle norme regolamentari o contrattuali vigenti (e nei limiti dello stanziamento previsto dall’amministrazione, che non può superare quello del 2013) mentre il regolamento interno (atto che rileva in sede di individuazione delle somme spettanti, potendo essere rimessi alla contrattazione integrativa i criteri di distribuzione degli emolumenti) deve determinare la quota di compensi spettanti agli avvocati dipendenti, avendo cura di decurtare, preventivamente, quanto necessario al pagamento dell’IRAP al momento della concreta liquidazione del compenso. In altri termini, secondo il Collegio contabile lombardo, in assenza di somme da recuperare dalle controparti, non vi è la previa costituzione di un fondo alimentato da soggetti terzi, ma l’amministrazione individua i compensi spettanti ai propri avvocati facendo esclusivamente ricorso a risorse del proprio bilancio (presupposto che impone di considerare con ancora maggiore ponderazione, al momento della determinazione generale dei compensi spettanti agli avvocati interni, anche il discendente onere per l’IRAP, graduando di conseguenza la relativa quantificazione).
La posizione contraria della giurisprudenza amministrativa
Secondo il Collegio contabile umbro, la sentenza del Consiglio di Stato, Sezione V, n. 4970 del 5 ottobre 2017, prende espressamente posizione in senso contrario alla delibera delle Sezioni riunite di controllo, rilevando che la soluzione ivi indicata finirebbe surrettiziamente per far ricadere sui legali dell’ente il carico tributario che essi non dovrebbero invece sopportare, essendo il datore di lavoro l’unico obbligato al pagamento dell’imposta.
Tale tesi, tuttavia, va obiettata in quanto il giudice amministrativo ha omesso di considerare che, come visto, l’IRAP è una posta passiva che rientra nel computo della spesa del personale. Pertanto, ove fosse finanziata distintamente finirebbe per introdurre a carico dell’ente un onere aggiuntivo rispetto a quello coperto con i fondi destinati a far fronte alla spesa in questione, in contraddizione peraltro con gli obiettivi di risparmio sulla spesa del personale a cui è ispirata tutta la legislazione vincolistica e lo stesso d.l. n. 90/2014.
In conclusione, l’orientamento espresso dalle Sezioni riunite di questa Corte con la delibera n. 33/2010 va quindi confermato.
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