Per il danno erariale non è sufficiente la violazione della normativa sull’affidamento degli incarichi esterni, ma è necessario dimostrare, anche ex post, che l’adempimento obbligatorio sulla corretta redazione dell’inventario non avrebbe potuto essere svolto all’interno per acclarata carenza di organico. In questo caso, il ragionerie ha dimostrato che, il poco personale presente, non avrebbe potuto svolgere correttamente l’incarico della redazione dell’inventario e l’avere affidato all’esterno tale incombente non poteva rientrare nelle ipotesi del danno erariale. Sono queste le motivazioni con le quali la Corte dei conti per il Trentino (sentenza n.97/2021) ha assolto il responsabile finanziario di un comune per l’affidamento, ad una ditta esterna, di un incarico per la redazione dell’inventario dell’ente.
Il caso
La Procura contabile ha citato in giudizio il responsabile finanziario, a suo dire, colpevole di aver affidato all’esterno la predisposizione e l’aggiornamento dell’inventario dell’Ente. Tale affidamento sarebbe illegittimo, in quanto violativo delle disposizioni di cui all’art. 7, comma 6, lett. d), d.lgs. n. 165/2001. Si trattava, infatti, di compiti che rientravano nelle ordinarie mansioni del personale dipendente, di facile espletamento in considerazione delle modeste dimensioni dell’ente locale. In particolare, la responsabilità discenderebbe dal non aver, il responsabile finanziario, compiuto un preliminare accertamento dell’impossibilità oggettiva di utilizzare il proprio personale per le mansioni oggetto dell’incarico. Inoltre, nelle determine di affidamento dell’incarico non vi è stato alcun cenno alle difficoltà di svolgere internamente, impiegando il personale in servizio, le attività esternalizzate. A ciò deve essere aggiunto che, ad il primo incarico è stato poi successivamente prorogato, omettendo, in questo caso, di adottare le misure organizzative necessarie per espletare i suoi compiti istituzionali mediante il personale dipendente, e ricorrendo sistematicamente all’outsourcing di tali mansioni ordinarie, violando in tale modo anche la regola basilare di “autosufficienza”, per la quale le amministrazioni pubbliche devono far fronte alle proprie competenze istituzionali con il più proficuo utilizzo delle risorse interne.
Di contrario avviso la difesa del convenuto, secondo cui il fatto che il legislatore abbia consentito ai Comuni di minori dimensioni l’utilizzo del sistema di contabilità semplificata (art. 57, comma 2-ter, d.l. 26.10.2019, n. 124, che ha modificato l’art. 232, comma 2, d.lgs. n. 267/2000) costituirebbe un riconoscimento implicito da parte del legislatore delle difficoltà “che gli enti di piccola dimensione hanno nell’applicare le norme relative alla rappresentazione veritiera e corretta della situazione patrimoniale”. Inoltre, a dire del responsabile finanziario l’incarico avrebbe avuto obiettivi specifici e contenuto di alta professionalità considerati anche gli adempimenti conseguenti al regime di contabilità armonizzata. Inoltre, gli unici tre dipendenti che svolgevano attività inerenti al servizio finanziario, oltre al responsabile, la cui disponibilità si riduceva a 24 ore settimanali, le altre due dipendenti con orario di servizio di 24 e 28 ore settimanali, erano impegnate in modo rilevante nei compiti ordinari dell’ufficio, tanto che nel PEG del settore finanziario erano state allocate specifiche risorse per l’affidamento esterno del servizio inventariale.
La decisione del Collegio contabile
Per i giudici contabili, pur considerando l’illegittimità della procedura attivata dal responsabile del servizio finanziario di affidamento di un incarico esterno in violazione delle disposizioni, di cui all’art.7. comma 6, del d.lgs. 165/01, tuttavia, la Procura non ne ha dimostrato l’illiceità. Nel caso di specie, la Procura avrebbe dovuto verificare anche le concrete circostanze di fatto che si presentavano al momento del conferimento degli incarichi in questione. In altri termini, è indubbio che la reiterazione del conferimento a soggetto esterno dell’incarico di redazione e aggiornamento dell’inventario del Comune costituisce una rilevante divergenza dal fisiologico schema di gestione, sia del personale dipendente che dei servizi dell’ente, oltre che porsi in contrasto con l’espresso divieto di rinnovo e proroga posto dall’art. 7, comma 6, lett. c) d.lgs. n. 165/2001. Tuttavia, per aversi illiceità della condotta, la Procura avrebbe dovuto dimostrare:
(a) la presenza in servizio di qualificate professionalità interne, astrattamente idonee ad espletare l’incarico stesso;
(b) la disponibilità in concreto di tali professionalità alla esecuzione dell’incarico;
(c) la mancanza di complessità nella materia da esaminare, in ipotesi di incarico di consulenza”, mentre l’onere della prova a carico di parte convenuta è un onere “riflesso”, nel senso che si presenta tanto più esteso quanto più estesa è la prova dei fatti asseverati da parte della Procura. Nel caso di specie, l’espletamento dei compiti oggetto dei due incarichi, ossia la “predisposizione e l’aggiornamento dell’inventario”, sono compiti ordinari dell’ente, ma rientranti nelle mansioni proprie non di qualunque dipendente, bensì di dipendenti in possesso di una professionalità specifica nel settore della gestione dei procedimenti contabili e di classificazione dei beni in bilancio. In questo caso, la difesa ha documentato, a differenza della Procura, come la riduzione di orario, unitamente al carico di lavoro del Servizio finanziario, sono elementi adeguati a contestare che i tre dipendenti potessero utilmente svolgere le attività aggiuntive oggetto dei due incarichi. In altre parole, l’assunto che tale personale avrebbe potuto utilmente esservi adibito, avrebbe dovuto richiedere alla Procura un documentato riscontro dei compiti già loro affidati e della disponibilità oraria di ciascuno per dimostrarne la compatibilità con il connesso aggravio del carico di lavoro.
Non essendo stato fornito, il citato riscontro dalla Procura, il responsabile finanziario deve essere assolto da ogni addebito.
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Stefano Maini | 2020 Maggioli Editore
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