Onorario di diritto: la Cassazione sul calcolo delle spese di difesa tecnica

ItaliaOggi
16 Novembre 2021
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di Sergio Trovato

Ok ai ristori per gli enti impositori
Gli enti locali hanno diritto al ristoro delle spese processuali e all’onorario per l’attività difensiva svolta dai propri funzionari in caso di esito favorevole delle cause tributarie. Dunque, nel caso in cui l’ente impositore risulti vittorioso, se assistito in giudizio da un proprio funzionario o da un proprio dipendente, ha diritto alla liquidazione del compenso nella misura spettante agli avvocati ridotto del 20%. L’onorario deve sempre essere liquidato qualora l’amministrazione pubblica si sia costituita in giudizio. Lo ha chiarito la Corte di cassazione, con l’ordinanza 27634 dell’11 ottobre 2021. Per gli ermellini, nel caso in cui il comune (o altro ente impositore, quali l’Agenzia delle entrate, l’agente della riscossione) risulti vittorioso nel processo tributario, se assistito da un proprio funzionario, ha diritto alla liquidazione del «compenso spettante agli avvocati, con la riduzione del 20% dell’importo complessivo, ivi previsto».

La materia tributaria ha «una diversa e più specifica disciplina» rispetto ad altri processi in cui è parte l’amministrazione pubblica ed è stata normativamente prevista la «ripetibilità» delle spese processuali, «nell’ipotesi in cui l’attività difensiva sia stata svolta da funzionari dell’amministrazione finanziaria o da dipendenti di enti locali». La questione della difesa in giudizio degli enti locali ha formato in passato oggetto di dibattito, fino a che non è stata risolta per via normativa. L’articolo 11, comma 3, del decreto legislativo 546/1992 prevede che la rappresentanza dell’ente locale nel processo tributario spetta anche ai dirigenti dell’ufficio tributi. Per gli enti privi di questa figura entra in gioco il titolare di posizione organizzativa. Quindi, l’amministrazione nei cui confronti è proposto il ricorso può stare in giudizio anche mediante il dirigente dell’ufficio, ovvero, per gli enti locali privi di figura dirigenziale, mediante il titolare di posizione organizzativa.

Considerato che vi è un espressa previsione di legge, non è necessario che la rappresentanza venga riconosciuta da una norma statutaria. Ai funzionari e dirigenti, poi, può essere conferito con una delega ad hoc anche il potere di assistere l’ente in giudizio. La disciplina processuale impone l’obbligo dell’assistenza tecnica solo per le parti private ricorrenti, diverse dalle amministrazioni pubbliche (agenzie fiscali, enti locali) o di chi agisce per loro conto (società concessionarie). Per i funzionari che assistono in giudizio gli enti impositori gli onorari devono essere rapportati ai compensi previsti per gli avvocati. L’articolo 15 del decreto sopra citato, in seguito alle modifiche apportate dalla legge di riforma (decreto legislativo 156/2015), ha ampliato la categoria degli enti pubblici ai quali si estende il trattamento riservato agli avvocati per la liquidazione degli onorari. In particolare, è stabilito che nella liquidazione delle spese a favore dell’amministrazione finanziaria, se assistita dai propri funzionari, si applicano gli onorari spettanti agli avvocati, con la riduzione del 20%. Il processo tributario è diventato sempre più tecnico e la difesa da parte di soggetti abilitati, se il valore della causa supera i 3 mila euro, è imposta ex lege. Questo fa lievitare i costi del processo, che è giusto che rimangano a carico di chi soccombe in sede giudiziale. È cresciuto, inoltre, il numero dei soggetti abilitati all’assistenza tecnica dei contribuenti innanzi alle commissioni. All’elenco, già ampio, si sono aggiunti anche i dipendenti dei centri di assistenza fiscale (Caf) e delle relative società di servizi, ai quali è demandata però solo la difesa dei propri assistiti. Questi ultimi possono difendere i propri assistiti esclusivamente nelle controversie che scaturiscono dall’attività di assistenza loro prestata come, per esempio, quelle relative al disconoscimento degli oneri e delle spese indicati nella dichiarazione. Le regole sulle spese giudiziali. Con l’ultimo intervento normativo di riforma (decreto legislativo 156/2015) della disciplina processuale tributaria è stato limitato il potere del giudice di compensare le spese processuali. L’articolo 15 del decreto legislativo 546/1992, quasi interamente riscritto dalla legge di riforma, impone un maggior rigore in caso di soccombenza.

La compensazione delle spese processuali va pronunciata in casi eccezionali. Naturalmente, viene arrecato un danno alla parte vittoriosa qualora il giudice compensi le sapese tra le parti e non motivi in fatto e in diritto le ragioni per le quali non ha condannato la parte soccombente. Per la commissione tributaria regionale di Palermo (sentenza 5563/2019) non si può mai giustificare la compensazione con il mero richiamo alla buona fede della parte soccombente. La buona fede può assumere rilevanza per escludere la responsabilità aggravata, ma non fa venir il diritto della parte vittoriosa a ottenere la condanna alle spese. La compensazione può essere disposta dal giudice nel caso di soccombenza reciproca, se la questione trattata rappresenta un’assoluta novità o qualora vi sia un mutamento nell’orientamento giurisprudenziale. Rientra tra le ipotesi di compensazione delle spese anche quella in cui le parti redigono un accordo transattivo, con il quale pongono fine alla controversia, e chiedono al giudice di dichiarare la cessata materia del contendere. Anche in presenza di un errore commesso dall’amministrazione pubblica, l’accordo transattivo deve comportare la compensazione. In questo senso si è espressa di recente la Cassazione, con l’ordinanza 22981/2021.

Chi perde, invece, è tenuto a pagare le spese processuali. Altrimenti, si lede il diritto di agire in giudizio se la parte vittoriosa non recupera le spese sostenute. L’ente impositore è tenuto a pagare le spese anche se non si costituisce in giudizio o riconosce fondati i motivi di contestazione della pretesa tributaria eccepiti dal contribuente. Pertanto, deve essere condannato al ristoro dei costi processuali chiunque dia luogo inutilmente al processo. In effetti, la condanna di chi soccombe in giudizio, oltre a deflazionare il contenzioso, tutela la parte vittoriosa. Le regole sui costi del processo Il principio generale La parte soccombente deve essere condannata a pagare le spese processuali alla parte vittoriosa L’eccezione Non ha diritto al ristoro dei costi chi non si costituisce in giudizio e non svolge attività difensiva Quando il giudice può compensare le spese • Soccombenza reciproca • Gravi e eccezionali ragioni Quando c’è compensazione In presenza di una transazione e di cessata materia del contendere.

In collaborazione con Mimesi s.r.l.

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