Sulla legittimità della revoca del revisore dei conti da parte del Consiglio comunale

20 Dicembre 2021
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Spetta al Consiglio comunale pronunciarsi per la revoca del revisore dei conti, qualora vi siano i presupposti indicati dall’art. 235 del Tuel. Inoltre, nulla vieta che al Segretario comunale l’organo di indirizzo politico conferisca le funzioni di responsabile del procedimento in relazione all’istruttoria e alla conclusione delle stessa sulla revoca del revisore. Inoltre, non può rilevarsi un conflitto di interessi tra il Segretario e il revisore revocato, in presenza di conflitti di natura professionale e non personali. Infine, nessuna nullità può rilevarsi se la seduta del Consiglio comunale sia stata effettuata con modalità non riservate, non incidendo la medesima sulla sua validità. Con queste motivazioni il Consiglio di Stato (sentenza n.7885/2021) ha respinto il ricorso del revisore avverso la sua revoca.

Il caso

A seguito di ritardi nel rilascio dei pareri, sia sul bilancio di previsione, sia sul conto consuntivo, unitamente al comportamento ostruzionistico del revisore il Consiglio comunale ne ha disposto la revoca. Il revisore, dopo avere avuto rigettato il proprio ricorso davanti al TAR ha proposto ricorso in Consiglio di Stato, al fine di far dichiarare l’illegittimità della sua revoca. In particolare il revisore si duole nell’aver considerato le disposizioni previste dallo Statuto comunale quale normativa in pejus in merito alla revoca dell’organo di revisione; dell’adozione in seduta pubblica del provvedimento di revoca e non in seduta riservata; dell’asserito conflitto di interessi del Segretario comunale e di alcuni consiglieri comunali; della mancata menzione del parere pro veritate chiesto dall’ente ad un avvocato esterno sulla legittimità della revoca.

La decisione

Il Consiglio di Stato, investito del ricorso conferma le indicazioni già formulate dal giudice di primo grado ed in particolare che:

  • l’azione amministrativa in concreto esercitata trovava la necessaria copertura normativa nell’art. 235, comma 2, T.U.E.L. e che, pertanto, doveva considerarsi del tutto irrilevante un esame dell’eventuale illegittimità dell’art. 106, comma 5 dello Statuto comunale. In particolare è da considerare irrilevante l’estensione statutaria delle ipotesi di revoca ai “gravi motivi che influiscono negativamente sull’espletamento del mandato”;
  • l’adozione in seduta pubblica del provvedimento impugnato, anziché nell’auspicata forma segreta, avrebbe potuto costituire tutt’al più motivo di risarcimento del danno, non già di illegittimità del provvedimento finale;
  • stante la natura istituzionale e non personale delle divergenze occorse tra il revisore e alcuni esponenti del Consiglio comunale, nessun obbligo di astensione poteva ritenersi esigibile. In particolare il revisore si duole dell’illegittimità della deliberazione di revoca per violazione dell’art. 6 bis L. 241/1990, dell’art. 97 TUEL nonché dello Statuto Comunale in ragione dell’asserita incompetenza del Responsabile del procedimento (il Segretario comunale) nonché della mancata astensione, del Sindaco e dell’Assessore al Bilancio, dalla discussione e dalla votazione per asserito conflitto di interessi. Secondo il Tar e il Consiglio di Stato secondo cui i contrasti insorti tra l’odierno ricorrente e l’amministrazione comunale e/o l’apparato burocratico dell’Ente non si connotano come dissidi di natura personale, dai quali possano essere derivate grave inimicizia e, conseguentemente, una scarsa serenità di giudizio sull’operato dell’organo di revisione. Detti contrasti si svolgono sul piano prettamente istituzionale e attengono esclusivamente al mancato o ritardato esercizio delle funzioni proprie dell’organo di revisione, per effetto del quale sarebbe derivato un grave pregiudizio alla gestione economico-finanziaria dell’Ente. Sul punto il TAR ha osservato che se la nomina e la revoca dell’organo di revisione è riservata alla competenza esclusiva del Consiglio comunale, sulla base di quanto disposto dall’art. 234, comma 1, e dall’art. 235, comma 2, D.Lgs. 267/2000, l’istruttoria delle relative proposte di deliberazione non può che spettare agli organi dell’apparato burocratico; quindi ha affermato che, nel caso di specie, l’istruttoria del procedimento che ha portato alla approvazione del provvedimento deliberativo impugnato è stata affidata al Segretario comunale coerentemente con quanto disposto dall’art. 97, comma 2, dello stesso T.U. che attribuisce a tale organo “compiti di collaborazione e funzioni di assistenza giuridico-amministrativa nei confronti degli organi dell’ente in ordine alla conformità dell’azione amministrativa alle leggi, allo statuto ed ai regolamenti”. In misura non diversa la questione del conflitto di interesse riguarda anche alcuni consiglieri, in quanto in questo caso i contrasti non riguardano dissidi personali, dai quali possano essere derivate grave inimicizia e, conseguentemente, una scarsa serenità di giudizio sull’operato dell’organo di revisione rilevando, ma i citati contrasti si pongano sul piano prettamente istituzionale e attengano esclusivamente al mancato o ritardato esercizio delle funzioni proprie dell’organo di revisione, per effetto del quale sarebbe derivato un grave pregiudizio alla gestione economico-finanziaria dell’Ente;
  • la mancata menzione del parere pro – veritate non costituiva di per sé solo vizio della deliberazione impugnata, trattandosi di parere non obbligatorio. In ogni caso, il legale incaricato non ha assunto una posizione ben definita circa la sussistenza o meno dei presupposti per la revoca dell’organo di revisione, avendo rimesso all’ente ogni decisione in merito. In ogni caso, la redazione di un parere pro veritate da parte del legale dell’amministrazione, come nel caso di specie, costituisce un momento consultivo che assume carattere meramente interno, quindi quelle in esso contenute sono valutazioni che rimangono nel dominio esclusivo dell’amministrazione stessa, senza che possano incidere nella sfera soggettiva di un terzo;
  • risultavano adeguatamente provate le inadempienze lamentate dal Consiglio comunale poste a fondamento dell’impugnato atto di revoca ed in particolare: il ritardo nel rilascio dei pareri previsti per il Bilancio di previsione e il Rendiconto; la mancata compilazione del questionario da trasmettere alla Corte dei Conti sia del bilancio che del rendiconto; la mancata co-sottoscrizione del Certificato attestante il rispetto degli obiettivi imposti dal Patto di stabilità. In merito è stata la stessa Corte dei conti ad aver invitato formalmente l’organo di revisione “a provvedere tempestivamente alla integrale compilazione di tutti i prospetti non compilati, trattandosi di attività obbligatoria prevista dall’art. 1, comma 166, della l. n. 266/2005 e da ultimo dall’art. 148 bis del Tuel”.

Per le sopra estese motivazioni il Consiglio di Stato ha rigettato l’appello e confermato la sentenza del giudice di primo grado.

 

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