Messa in liquidazione della società partecipata. Le indicazioni dei giudici amministrativi

7 Aprile 2022
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In mancanza di puntuali motivazioni e di accorata istruttoria, la dismissione di una società partecipata, anche per le ovvie e necessaire conseguenze che tale decisione può assumere, conduce all’annullamento della deliberazione dell’ente locale, pur a ciò dovuto quale incombente ai sensi dell’art.20 del Testo Unico delle Società Partecipate. Sono queste le decisioni assunte dal TAR per la Sicilia (sentenza n.964/2022).

La vicenda

Il Consiglio comunale di un ente locale, a seguito della ricognizione delle proprie partecipate ai sensi dell’art. 20, co. 2, lett b), del D.lgs. n. 175/2016, ha deciso per la messa in liquidazione della propria società in house. Avverso la decisione ha proposto ricorso la società contestando che la decisione sia avvenuta in modo errato, ossia per essere stato sostenuto che la società sarebbe priva di dipendenti o che abbia un numero di amministratori superiore a quello dei dipendenti. La società ha, infatti, evidenziato come sin dalla sua costituzione avrebbe svolto la propria attività fruendo di personale distaccato e comandato da altre società partecipate del Comune e dal Comune stesso, con retribuzioni a carico della stessa società., da conteggiare ai fini del detto art. 20.

La sentenza

Il Collegio amministrativo ha premesso come l’art.20 del TUSP dispone che il processo di revisione investa le società con riferimento alle quali sussistono determinati parametri, tra cui il ricadere in una delle ipotesi previste dal comma 2 la cui lett. b) stabilisce che i “piani di razionalizzazione, corredati di un’apposita relazione tecnica, con specifica indicazione di modalità e tempi di attuazione, sono adottati ove, in sede di analisi di cui al comma 1, le amministrazioni pubbliche rilevino: … b) società che risultino prive di dipendenti o abbiano un numero di amministratori superiore a quello dei dipendenti”.

Pertanto, come sostenuto dalla magistratura contabile, la ricognizione annuale, incentrata sulla valutazione della ricorrenza dei parametri elencati nell’art. 20 TUSP, costituisce adempimento obbligatorio, mentre gli esiti possono essere vari e “sono rimessi alla discrezionalità delle amministrazioni partecipanti, le quali sono tenute a motivare espressamente sulla scelta effettuata che può consistere sia nel mantenimento della partecipazione senza interventi sia in una misura di razionalizzazione”, il cui contenuto può consistere in un “piano di riassetto per la loro razionalizzazione, fusione o soppressione, anche mediante messa in liquidazione o cessione” (delibera n. 29/SEZAUT2019/FRG; n. 27/SEZAUT2017/FRG e n. 23/SEZAUT2018/FRG). Anche la giurisprudenza amministrativa ha sottolineato la necessità di una congrua motivazione, sia in ordine alla scelta del mantenimento che della dismissione (Cons. Stato, sez. V, n. 5193/2016; id., sez. V, n. 2463/2017; id., n. 578/2019), quale essa sia.

Con la deliberazione consiliare è stato approvato un emendamento sulla messa in liquidazione della società senza alcuna dettaglia ragione. In altri termini, la scelta del Comune avrebbe dovuto essere esternata con motivazione da inserire nella relazione tecnica per dare conto delle ragioni dell’ipotesi ritenuta sussistente (art. 20 comma 2 lett. b) e del modello scelto (messa in liquidazione) per affrontarla. Inoltre, al momento della decisione risultavano distaccate due unità del Comune e quattro unità di altra partecipata, con costo del personale in questione a carico della Società messa in liquidazione che rimborsava al Comune gli oneri retributivi e previdenziali corrisposti ai dipendenti. La giurisprudenza contabile ha in effetti chiarito che “da un punto di vista sostanziale, l’utilizzo effettivo presso la società di risorse umane nella forma di dipendenti distaccati non sembra apparire in contrasto con la finalità del parametro legislativo espresso dalla lett. b), inteso ad individuare, nell’assenza di dipendenti o nell’esorbitanza del numero di amministratori rispetto ai dipendenti, un elemento di inefficienza aziendale, determinante la necessità di razionalizzazione” (Corte dei Conti. Sez. Contr. Reg. Emilia Romagna, n. 97/2021). Ne consegue che, come correttamente ritenuto dalla ricorrente, il Comune avrebbe dovuto considerare ai fini del detto art. 20 anche il personale in distacco o comando in servizio presso la società, ma, in ragione dell’assenza di motivazione, non è possibile verificare se il detto emendamento l’abbia considerato ai fini del computo.

Nel caso di specie, pertanto, in ragione del difetto di istruttoria e di motivazione, il ricorso è stato accolto.

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