Il piano di razionalizzazione delle società partecipate che demandi agli uffici, l’analisi di convenienza economica alla dismissione di una partecipazione societaria non è conferme alle disposizioni legislative. Tali sono le motivazioni con le quali la Corte dei conti della Lombardia (deliberazione n.67/2022) ha censurato l’operazione condotta da una Città metropolitana.
La vicenda
A seguito della verifica dei conti di un ente metropolitano, il magistrato istruttore ha chiesto spiegazioni all’ente locale. Quest’ultimo ha precisato quanto segue:
- Dopo aver attivato procedure ad evidenza pubblica per la dismissioni della partecipazione societaria, la gara è andata deserta e, al successivo tentativo, i ottenere la cessazione della partecipazione ai sensi dell’art. 1 co. 569 della legge n. 147 del 2013, la questione è giunta davanti al Tribunale con perdita da parte dell’ente e con definitiva decisione di non ricorrere in appello;
- È stata lanciata una offerta pubblica irrevocabile di acquisto presentata dalla società che, unitamente ad altri soci pubblici destinatari dell’offerta, si è deciso di ricorrere ad una perizia estimativa che ha determinato il prezzo con il metodo del Discounted cash flow, fornendo un intervallo del prezzo di vendita;
- Con decreto del Sindaco si è proceduto alla dismissione della partecipazione, in considerazione delle indicazioni del Consiglio, contenuta nella deliberazione di approvazione del Piano di Razionalizzazione degli organismi partecipati e controllati, di procedere alla cessione della partecipazione.
Il magistrato istruttore ha rilevato come, a fronte di una proposta contrattuale in grado di concretizzare una consistente minusvalenza, aveva chiesto spiegazioni di come si sia giunti alla decisione di alienare le azioni al prezzo proposto dall’acquirente, piuttosto che di percorrere altre soluzioni astrattamente alternative quali l’eventuale differimento della vendita, il ricorso al recesso previsto dall’art. 24 co. 5 del TUSP o la possibilità di concordare strategie comuni con gli altri enti pubblici, tanto più se non tutti i soggetti pubblici destinatari dell’offerta di acquisto si sono determinati ad accettare la proposta ricevuta. La richiesta discendeva dalla mancata motivazione contenuta nel decreto sindacale.
L’ente ha, pertanto, che “la soluzione di vendere al socio di maggioranza si è palesata come l’unica percorribile e sostenibile dal punto di vista della efficienza e della efficacia dell’azione amministrativa” in quanto: a) l’attivazione della procedura ad evidenza pubblica era stata già percorso in senso negativo mentre, quella di chiedere la cessazione della propria partecipazione aveva visto l’ente soccombente in sede di giudizio civile; b) la motivazione sarebbe contenuta nella scheda tecnica allegata al decreto sindacale; c) a seguito della gara infruttuosa di altro socio pubblico ad un prezzo uguale a quello utilizzato in sede di vendita al socio di maggioranza, in caso di eventuale ricorso al recesso previsto dall’art. 24 co. 5 del TUSP, qualunque perizia estimativa non avrebbe potuto prescindere dal considerare nell’attestazione del valore delle azioni l’esito finale della procedura realizzata dall’atro socio pubblico.
Le indicazioni del Collegio contabile
Il Collegio contabile nel prendere atto di quanto riferito dall’ente locale, ha richiamato il disposto dell’art. 10 del d.lgs. n. 175/2016, secondo cui “gli atti deliberativi aventi ad oggetto l’alienazione o la costituzione di vincoli su partecipazioni sociali delle amministrazioni pubbliche sono adottati secondo le modalità di cui all’articolo 7, comma 1. L’alienazione delle partecipazioni è effettuata nel rispetto dei princìpi di pubblicità, trasparenza e non discriminazione. In casi eccezionali, a seguito di deliberazione motivata dell’organo competente ai sensi del comma 1, che dà analiticamente atto della convenienza economica dell’operazione, con particolare riferimento alla congruità del prezzo di vendita, l’alienazione può essere effettuata mediante negoziazione diretta con un singolo acquirente. E’ fatto salvo il diritto di prelazione dei soci eventualmente previsto dalla legge o dallo statuto. La mancanza o invalidità dell’atto deliberativo avente ad oggetto l’alienazione della partecipazione rende inefficace l’atto di alienazione della partecipazione. […]”.
Pertanto, nel caso in esame in conformità alla norma richiamata, la deliberazione di alienazione della partecipazione avrebbe dovuto essere assunta dal Consiglio e l’eventuale negoziazione diretta con un singolo acquirente, in quanto non rispondente ai principi di pubblicità, trasparenza e non discriminazione, avrebbe dovuto essere specificamente analizzata dallo stesso organo consiliare, il quale avrebbe dovuto analiticamente motivare in merito, non solo al carattere eccezionale del caso, ma in ordine alla convenienza economica dell’operazione con particolare riferimento alla congruità del prezzo di vendita. Né tale funzione può ritenersi assolta dalla deliberazione del Consiglio metropolitano con la quale, prima della data di alienazione, è stata approvata la Relazione sull’attuazione del piano di razionalizzazione e razionalizzazione periodica delle partecipazioni, ai sensi dell’art.20, D.Lgs. 19 agosto 2016 n.175, nella quale il consiglio si è limitato a disporre genericamente “di demandare alla Direzione competente per materia ogni azione necessaria all’alienazione della partecipazione”.
Pertanto, l’evidenziazione della convenienza economica dell’operazione ed, in particolare, della congruità del prezzo di vendita non è, pertanto, rinvenibile, in alcuna deliberazione del consiglio anteriore all’alienazione azionaria. È, dunque, evidente che l’alienazione non è stata deliberata nel rispetto del disposto dell’art. 10 d.lgs. n. 175/2016 e che le ragioni della convenienza economica dell’operazione e della congruità del prezzo di vendita, che avrebbero dovuto essere oggetto di ostensione nel consiglio, al fine di instaurare un pieno confronto sul punto, sono state illustrare a questa Sezione solo a seguito delle specifiche richieste istruttorie.
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