Come è noto, in base agli indirizzi espressi della magistratura contabile (cfr., ad esempio, Corte dei conti, Sezioni Riunite per la Regione Siciliana, delib. n. 6/2021/PARI, vol. I, § 3.6.) deve ritenersi necessario che, ai fini della verifica e del mantenimento degli equilibri, le maggiori passività siano considerate contabilmente “certe” in presenza di un ragionevole riscontro documentale del carattere “temuto” della loro esistenza (Corte dei conti, Sezioni Riunite in sede giurisdizionale in speciale composizione, sent. n. 32/2020), considerato il contenuto prescrittivo del principio generale (o postulato) n. 9 della prudenza (Decreto Legislativo n. 118/2011, allegato n. 1), per il quale “nei documenti contabili di rendicontazione il principio della prudenza comporta che le componenti positive non realizzate non devono essere contabilizzate, mentre tutte le componenti negative devono essere contabilizzate e quindi rendicontate, anche se non sono definitivamente realizzate”.
Dunque, sulla base dello stesso precetto – ma anche nel rispetto del principio generale (o postulato) n. 5 della veridicità, attendibilità, correttezza e comprensibilità (Decreto Legislativo n. 118/2011, allegato n. 1) – i debiti fuori bilancio già censiti, nelle more del formale riconoscimento e dell’individuazione delle necessarie coperture, devono essere inglobati nel risultato di amministrazione, utilizzando in via analogica e surrogatoria il fondo rischi: è quanto ribadito dalla Corte dei conti, sez. di contr. per la Regione Siciliana, nella delib. n. 58/2023/PRSP, depositata lo scorso 20 febbraio, a conferma di un noto orientamento (cfr., ad esempio, sez. reg. di contr. per la Campania, pronunce n. 238, 240, 249/2017/PRSP, n. 46/2019/PRSP, n. 62/2019/PAR, n. 67/2019/PAR, nonché Sezione delle Autonomie, delib. n. 1/2019/QMIG).
In mancanza di idoneo accantonamento, ricorre, pertanto, un grave vizio dell’esposizione contabile, idoneo a inficiare l’attendibilità della parte disponibile del risultato di amministrazione.
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