L’equo compenso c’è, ma spesso solo sulla carta. Soprattutto nei rapporti con la pubblica amministrazione. La Camera dei deputati sta per approvare in via definitiva (il disegno di legge è atteso in aula questa settimana) l’atto Camera 338-B che va a rafforzare la disciplina dell’equo compenso introdotta con il collegato fiscale alla legge di bilancio 2018 (dl 148/2017). Ma per la pubblica amministrazione, la principale fonte di pagamenti non “proporzionati alla quantità e alla qualità del lavoro svolto dal professionista”, rimangono ancora aperte una serie di possibilità che potrebbero permetterle di non rispettare sempre la norma. Un’ancora di salvezza potrebbe però arrivare dal nuovo codice degli appalti, che entrerà in vigore a luglio.
Un iter tortuoso
Il provvedimento ha una storia lunga, visto che è discusso in Parlamento da anni. Nella scorsa legislatura, infatti, un testo identico era stato approvato in prima lettura (il 13 ottobre 2021) e l’ok finale è saltato a causa della caduta del governo. E anche in questa legislatura il ddl ha dovuto fare i conti con uno stop imprevisto; pochi giorni prima della discussione definitiva in Senato è spuntato un errore nell’articolato approvato dalla Camera, ovvero il riferimento a una norma abrogata dalla riforma Cartabia (articolo 702-bis del codice di procedura civile, abrogato appunto dal dlgs 149/2022). Questo ha portato a un ulteriore lettura in entrambi i rami del Parlamento per correggere l’errore. Ora, comunque, dovrebbero essere finite le sorprese, con il sigillo definitivo atteso già questa settimana. La nuova normativa. Si tratta di 11 articoli che vanno a rafforzare la norma introdotta dal dl 148/2017. I termini principali rimangono gli stessi, ovvero l’obbligo per alcune categorie di clienti di corrispondere un compenso «proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro svolto, al contenuto e alle caratteristiche della prestazione, nonché conforme ai parametri ministeriali». Anche in questo testo, poi, vengono indicate una serie di clausole vessatorie, che saranno considerate nulle. Tra queste, l’obbligo di anticipazione delle spese, la mancanza di rimborsi per quelle effettuate, la previsione di pagamenti con attese superiori ai 60 giorni o la pretesa di prestazioni aggiuntive gratuite.
Novità, invece, per quanto riguarda i soggetti tenuti al rispetto della misura
La precedente norma inseriva tra gli interessati le banche, le imprese di assicurazione e le aziende «non rientranti nella categoria delle microimprese o delle Pmi». Oltre a banche e assicurazioni, nel nuovo testo si parla di «imprese che nell’anno precedente al conferimento dell’incarico hanno occupato alle proprie dipendenze più di cinquanta lavoratori o hanno presentato ricavi annui superiori a 10 milioni di euro». Tra le novità più importanti c’è però il ruolo assegnato agli ordini. Questi dovranno adottare disposizioni deontologiche per sanzionare il professionista che violi la disposizione (sul punto sono sorte molte polemiche e vari esponenti del governo hanno promesso un intervento modificatore, si veda altro articolo in pagina), potranno siglare convenzioni con le imprese definendo compensi standard e il loro parere di congruità potrà acquisire l’efficacia di titolo esecutivo. Infine, sarà costituito un osservatorio dedicato al ministero della giustizia e verrà consentita la possibilità di promuovere class action. Il rapporto con la Pa. Oltre ai clienti “forti” elencati sopra, nel testo viene specificato che la norma vale anche nei rapporti con la Pa. La stessa indicazione era presente nella vecchia versione dell’equo compenso, anche se in una forma più “criptica”. Nel decreto del 2017 si legge, infatti, che «la pubblica amministrazione… garantisce il principio dell’equo compenso in relazione alle prestazioni rese dai professionisti…». Nella nuova versione, invece, si legge che «le disposizioni della presente legge si applicano altresì alle prestazioni rese dai professionisti in favore della pubblica amministrazione». Restano fuori (allora come oggi) le società di cartolarizzazione e gli agenti della riscossione. Il tema rimane uno degli aspetti più delicati della vicenda: nonostante la vecchia tutela, infatti, molti enti (dai ministeri ai comuni) hanno emesso bandi in violazione della norma e, soprattutto, molti dubbi sono stati sollevati dalla giurisprudenza. Consiglio di stato e codice appalti. La sentenza 0744/2021 del Consiglio di stato del 10 novembre di due anni fa, in particolare, lascia comunque aperta una strada ai bandi gratuiti a prescindere dalla nuova norma sull’equo compenso. Il Cds, accogliendo in parte una posizione già espressa dal Tar Lazio (sentenza n. 03015/2019) aveva, in sostanza, affermato che l’equo compenso è applicabile solo quando è previsto un corrispettivo per l’attività svolta. Nel caso in cui lo stesso non sia proprio stabilito dall’inizio, la norma non trova applicazione. Un’ancora di salvezza potrebbe arrivare dal nuovo codice degli appalti (dlgs 36/2023), che entrerà in vigore il prossimo luglio, in cui si afferma che «le prestazioni d’opera intellettuale non possono essere rese dai professionisti gratuitamente». Questo, però, «salvo che in casi eccezionali e previa adeguata motivazione».
* Articolo integrale pubblicato sul Italiaoggi del 11 marzo 2023.
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