Danno erariale al responsabile finanziario che svolga le medesime funzioni in altro comune in assenza di autorizzazione

29 Maggio 2023
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E’ costato caro, ad un responsabile finanziario di un comune, lo svolgimento delle medesime funzioni presso altro comune, senza la preventiva autorizzazione dell’amministrazione di appartenenza. Oltre al licenziamento da parte della propria amministrazione, per i medesimi fatto la Corte dei conti della Lombardia (sentenza n.97/2023) lo ha condannato per danno erariale con restituzione di tutti i compensi illecitamente percepiti negli anni di svolgimento dell’attività non autorizzata.

Il fatto

Una dipendente assunta in un ente locale e nominata responsabile dei servizi finanziari, con titolarità della posizione organizzativa, ha svolto per svariati anni anche le medesime funzioni presso altro ente locale, percependo una retribuzione mensile. La Procura l’ha citata in giudizio in quanto, la dipendente, ha svolto tali funzioni presso l’altro ente locale in violazione del principio di esclusività, ossia in violazione delle disposizioni recate dall’art.53 del Testo unico del pubblico impiego. Per la Procura la dipendente, nel frattempo licenziata dall’ente di appartenenza, avrebbe dovuto restituire tutti i compensi percepiti ai sensi del comma 7 e 7-bis del citato art.53 del d.lgs. 165/01. Nel frattempo il licenziamento era confermato, all’esito di articolata istruttoria dibattimentale, dal Tribunale di primo grado, sentenza divenuta successivamente irrevocabile.

La difesa del responsabile finanziario

La convenuta nel giudizio contabile ha in via preliminare eccepito la prescrizione, considerando che l’atto di citazione non avrebbe potuto retroagire oltre i cinque anni. D’altra parte lo stesso ente locale, all’atto del suo licenziamento, le aveva intimato la restituzione delle somme percepite limitatamente non coperto da prescrizione. Oltre a chiedere l’assoluzione nel merito, chiedendo in subordine una riquantificazione del danno che tenesse conto di quanto risulta dalle certificazioni uniche ai fini fiscali emesse dal Comune e delle ritenute fiscali e previdenziali operate, oltre al potere riduttivo per l’utilità delle funzioni svolte. Infatti, a dire della difesa l’incarico era stato pubblicato conferendo in tal modo notizia certa e conosciuta. Inoltre, sarebbe stata autorizzata dal Sindaco cui aveva indirizzato la richiesta di attività extra istituzionali presso l’altro ente locale, anche se il regolamento dell’ente prevedeva l’autorizzazione da parte del segretario comunale.

La conferma del danno erariale

Per il Collegio contabile deve essere confermata la tesi della Procura circa il valore del danno erariale. In merito alla prescrizione sollevata la stessa non può essere accolta in ragione di una condotta diretta ad occultare atti amministrativi, impedendo quindi che il termine prescrizionale decorresse dalla data del fatto. Dalla sentenza definitiva del suo licenziamento, infatti, è emerso che la protocollazione delle richieste di autorizzazione allo svolgimento dell’incarico e dei relativi nulla osta del Sindaco, fosse avvenuta, reiteratamente negli anni, ad opera della stessa attrice e con modalità fortemente anomale. Nella sentenza che ha ricevuto la prova testimoniale del Sindaco, chiamato in causa dal responsabile per le autorizzazioni ricevute, è emerso che egli non fosse assolutamente mai stato messo a conoscenza, quale rappresentante dell’ente e organo munito del potere di provvedere, delle richieste di autorizzazione al lavoro esterno della convenuta e tantomeno di averle accolte. D’altra parte è stato confermato come le richieste di nulla osta erano inviate all’indirizzo personale della convenuta o del suo ufficio e che anche le autorizzazioni, che il sindaco ha disconosciuto, recavano l’intestazione dell’ufficio ragioneria. Sul punto, inoltre, la difesa non ha saputo dedurre, né tantomeno provato o offerto di provare, che la trattazione dei procedimenti autorizzatori in questione fosse gestita da altri che non fosse la stessa convenuta, titolare dell’ufficio ragioneria e in evidente conflitto di interessi. Secondo le disposizioni della legge n.190/2012, la convenuta non poteva trattare, in nessuna delle sue fasi, ancorché endoprocedimentali, la pratica della autorizzazione all’incarico ex art. 53 D.lgs. n. 165/2001 che la riguardava direttamente in quanto beneficiaria.

Nel caso di specie, pertanto, non può che essere evidenziato il dolo, nel senso di una precisa e diretta volontà dell’evento dannoso, non potendosi certo sostenere, come vorrebbe la difesa, la rilevanza giuridica, in funzione sanante, della eventuale conoscenza dell’incarico da parte dell’amministrazione acquisita aliunde, in quanto circostanza di fatto estranea al procedimento di formazione dell’autorizzazione come previsto e disciplinato dall’art. 53, commi 7, 7bis e 10 del D.lgs. n. 165/2001.
In merito alla richiesta di espungere dal danno erariale la quantificazione degli importi versati all’erario ai fini fiscali, la stessa non merita accoglimento. Infatti, il mancato riversamento dei compensi deve avvenire al lordo e non al netto degli oneri riflessi, trattandosi di mancata entrata che avrebbe dovuto essere trasferita dall’ente locale al lordo. In altri termini, l’entità del danno de quo è commisurata, ex lege, all’ammontare dei compensi percepiti per l’attività prestata contra legem e non alla somma di cui il dipendente ha mantenuto la disponibilità a proprio vantaggio o dopo aver adempiuto ai propri obblighi fiscali e contributivi.

Anche la richiesta del danno erariale al netto delle utilità collegate alle attività dalla medesima svolte non coglie nel segno. Infatti, al fine di poter compensare tali utilità il codice di giustizia contabile prevede che coesistano un vantaggio patrimoniale per un soggetto pubblico ed una diminuzione patrimoniale per lo stesso o altro soggetto pubblico e che tali contrapposte posizioni siano eziologicamente collegate da un nesso di simmetrica reciprocità. La finanza pubblica, di cui la Corte è garante, non potrebbe dirsi lesa quando ad una mancata entrata di una p.a. corrisponda specularmente una mancata spesa di pari importo di altra p.a. Nel caso di specie, però, il danno non deriva dallo svolgimento dell’attività lavorativa extra senza autorizzazione, bensì dal mancato riversamento del compenso in adempimento dell’obbligo di legge e alla conseguente mancata entrata nel bilancio dell’ente di appartenenza del dipendente. Infatti, alla mancata entrata da omesso riversamento di un ente non è infatti direttamente collegato un risparmio di spesa di un altro ente, bensì l’arricchimento del dipendente, cioè proprio il risultato che la norma mira ad evitare.
Va accolta, in conclusione, la quantificazione del danno erariale operata dalla Procura con condanna al pagamento di tutti i compensi lordi versati dall’ente locale alla convenuta nei diversi anni.

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