La richiesta
È stato chiesto ai magistrati contabili se, la difesa dell’ente nel contenzioso tributario venga affidata ai funzionari non avvocati, gli incassi addebitati dal giudice alle parti soccombenti, in caso di esito vittorioso del giudizio tributario, possono essere distribuiti ai funzionari come risorse accessorie fuori dai limiti di cui all’art.23, comma 2, del d.lgs. 75/2017 (salario accessorio non eccedente i limiti stanziati nel 2016). A dire del rappresentante legale e Presidente di una Regione, i compensi eventualmente regolamentati dovrebbero essere posti dai limiti in quanto non solo autofinanziati in entrata, ma soprattutto perché destinati a remunerare attività di difesa in giudizio dell’Amministrazione da parte di soggetti all’uopo individuati e dotati di specifiche professionalità (Corte dei conti SS.RR. deliberazione n. 51/2011).
La disposizione legislativa secondo la Cassazione
La fonte legislativa è individuata nell’art.15, comma 2-sexies, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, secondo cui «Nella liquidazione delle spese a favore dell’ente impositore, dell’agente della riscossione e dei soggetti iscritti nell’albo di cui all’articolo 53 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, se assistiti da propri funzionari, si applicano le disposizioni per la liquidazione del compenso spettante agli avvocati, con la riduzione del venti per cento dell’importo complessivo ivi previsto. La riscossione avviene mediante iscrizione a ruolo a titolo definitivo dopo il passaggio in giudicato della sentenza».
Il giudice di legittimità, in un primo orientamento del giudice di legittimità (Cass. ordinanza n. 27444/2020 e dall’ordinanza n. 9900/2021) ha escluso la condanna della parte privata al pagamento delle spese di patrocinio tecnico sostenute da una Pubblica Amministrazione che era stata in giudizio senza il ministero di un difensore ma per il tramite di un proprio funzionario (non avvocato). Un secondo orientamento del giudice di legittimità (Cass. ordinanza n. 4473/2021 e n. 20590/2021) ha operato un revirement giustificato dal fatto che “Il D.Lgs. n. 546 del 1992 … dispone, infatti che, nel caso in cui la parte pubblica, risultata vittoriosa, sia stata assistita da un proprio funzionario o da un proprio dipendente, si applica per la liquidazione il “compenso spettante agli avvocati, con la riduzione del venti per cento dell’importo complessivo, ivi previsto”, prevedendo espressamente, pertanto, la liquidazione dei compensi per l’attività difensiva svolta in giudizio. In definitiva, secondo gli ultimi orientamenti della Cassazione civile in tema di contenzioso tributario, all’ente pubblico assistito in giudizio dai propri funzionari (non avvocati) nei casi previsti spetterebbe la liquidazione delle spese, effettuata applicando la tariffa vigente per gli avvocati (ridotta del venti per cento) quale rimborso per la sottrazione di attività lavorativa dei funzionali medesimi, utilizzabili altrimenti in differenti compiti interni all’ufficio di appartenenza.
La risposta
Premessa la normativa di riferimento e le indicazioni del giudice di legittimità, è necessario verificare in via prioritaria se in un ente ove sia operativa un’avvocatura interna, gli eventuali compensi corrisposti al personale amministrativo (non iscritto nell’elenco speciale annesso all’albo degli avvocati) che assiste in giudizio l’ente medesimo nei processi tributari ai sensi dell’art. 15, comma 2-sexies del d.lgs. n. 546/1992, siano soggetti o meno ai vincoli di cui all’art. 23, comma 2 del d.lgs. n. 75/2017. In questo caso, la normativa prevista per le avvocature non è estensibile ai funzionari dell’ente, non potendo operare norme di stretta interpretazione se non previste in modo espresso dal legislatore. Infatti, quando il legislatore ha voluto procedere nel senso di derogare al rispetto del limite relativo alla crescita dell’ammontare delle risorse destinate annualmente al trattamento accessorio del personale pubblico, lo ha fatto sempre e doverosamente in modo espresso, in quanto sono evidenti le gravi criticità connesse al procede in base a (non consentite e perciò arbitrarie) applicazioni analogiche della normativa derogatoria di riferimento. Neppure la giurisprudenza contabile ha mai espresso un parere sulla possibile esclusione di tali compensi. Né sarebbe possibile estendere le conclusioni contenute nella deliberazione n.51/2011 della Corte dei conti a SS.RR. che ha precisato come solo le risorse “destinate a remunerare prestazioni professionali tipiche di soggetti individuati o individuabili e che peraltro potrebbero essere acquisite attraverso il ricorso all’esterno dell’amministrazione pubblica con possibili costi aggiuntivi per il bilancio dei singoli enti”, tra le quali “le risorse che affluiscono al fondo per remunerare le prestazioni professionali dell’avvocatura interna … in quanto … si tratta di prestazioni professionali tipiche la cui provvista all’esterno potrebbe comportare aggravi di spesa a carico dei bilanci delle amministrazioni pubbliche”. Pertanto, oltre alla giurisprudenza di legittimità, che esclude la possibilità di addebitare alla parte soccombente le relative spese se l’ente è rappresentato non da un proprio legale ma da un funzionario, gli enti che sono provvisti di avvocatura le relative funzioni sarebbero rappresentate da queste ultime rendendo il parere della nomofilachia contabile incompatibile con l’obbligo di rivolgersi all’esterno. Inoltre, un eventuale affidamento di incarichi esterni di patrocinio legale a difesa degli interessi dell’ente che disponga di un’avvocatura interna, infatti, configuri palesemente un caso di responsabilità erariale (Sezione giurisdizionale per la Lombardia, sentenza n. 102/2017), con conseguente responsabilità per i soggetti che conferiscano tali incarichi.
Pertanto, in un ente ove sia operativa un’avvocatura interna, gli eventuali compensi corrisposti al personale amministrativo (non iscritto nell’elenco speciale annesso all’albo degli avvocati) che assiste in giudizio l’ente medesimo nei processi tributari ai sensi dell’art. 15, comma 2-sexies del d.lgs. n. 546/1992, sono soggetti ai vincoli di cui all’art. 23, comma 2 del d.lgs. n. 75/2017.
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