Illegittima la revoca del revisore dipendente a tempo pieno se autorizzato dal proprio ente

23 Ottobre 2023
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Il Consiglio comunale non è abilitato a revocare l’incarico al dipendente a tempo pieno di altro ente locale per asserita incompatibilità dell’incarico, in quanto dipendente pubblico a ciò autorizzato dalla propria amministrazione. D’altra parte, in tema di incompatibilità assoluta la questione riguarda l’amministrazione di appartenenza e non quella cui l’incarico sia stato conferito. Sono queste le indicazioni contenute nella sentenza n. 2581/2023 del TAR della Sicilia che ha dichiarato illegittimo l’annullamento della nomina del revisore disposta dal Consiglio comunale, anche se poi ha negato il risarcimento del danno richiesto dal revisore colpevole di non aver richiesto in tempo il rimedio della misura cautelare, sperando in modo opportunistico alla richiesta del risarcimento dei danni per mancati compensi.

Il fatto

A seguito della nomina a revisore dei conti di un ente locale, il Consiglio comunale procedeva alla sua revoca sostenendo che la nomina era avvenuta nei confronti di un dipendente comunale che, seppure autorizzato dalla propria amministrazione, era restato a tempo pieno realizzandosi in tal modo una incompatibilità con la carica rivestita. Il revisore espunto ha proposto ricorso al giudice amministrativo chiedendo l’illegittimità della deliberazione di revoca e il conseguente risarcimento dei danni occorsi per il periodo di tempo in cui non ha potuto legittimamente esercitare le funzioni di revisore.

La decisione

Per i giudici amministrativi di primo grado l’atto di revoca, correttamente da individuare in un annullamento di ufficio, è illegittimo. Non vi sono dubbi sul principio di incompatibilità del dipendente pubblico cui è preclusa la possibilità di svolgere attività extra lavorative. Tuttavia, tale divieto di espletare incarichi extraistituzionali non è assoluto avendo la normativa distinto gli incarichi assolutamente vietati da quelli invece espletabili dal dipendente pubblico previa autorizzazione datoriale, ovvero attività liberamente esercitabili senza previa autorizzazione, in quanto espressive di basilari libertà costituzionali (art. 53, co. 6, D. lgs. n. 165 del 2001). In presenza di incarichi assolutamente vietati (attività imprenditoriali, agricole, commerciali, libero-professionali, amministratori in società di capitali) il legislatore prevede la decadenza dall’impiego pubblico quale sanzione disciplinare e non dell’incarico conferito, escludendo la nullità o altra forma di invalidità o inefficacia degli atti compiuti nell’espletamento dell’incarico così conferito. In presenza della prevista autorizzazione rilasciata per lo svolgimento dell’incarico da parte dell’ente di appartenenza, l’ente locale non avere alcun potere di ritirare l’atto di incarico conferito al ricorrente in forza dell’autorizzazione rilasciata dall’Ente di appartenenza a tutela esclusiva del quale ultimo sono poste le norme richiamate in materia di incompatibilità. In merito, invece, alla richiesta del risarcimento del danno, a seguito dell’annullamento dell’atto illegittimo, essa non può trovare accoglimento, per il principio di leale cooperazione e buona fede, avendo il ricorrente preferito attendere il risarcimento del danno, in modo opportunistico, piuttosto che scongiurare via immediata, con una istanza cautelare, il danno lamentato ed al contempo evitando che l’incarico fosse proseguito e portato a termine dal nuovo revisore nominato, duplicando in tal modo la spesa dell’ente locale.

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