La prescrizione e la transazione
La questione concretamente oggetto di scrutinio da parte della Sezione concerne l’ammissibilità di una transazione relativa a una pretesa relativa a un diritto, il quale, una volta decorso infruttuosamente il termine fissato dalla legge, non potrà più essere fatto valere. In merito alla compensazione, se a norma dell’art. 1242, secondo comma, c.c. la prescrizione di uno dei due crediti non impedisce di eccepire la compensazione se la prescrizione non era compiuta quando si è verificata la coesistenza dei due debiti, la regola generale ivi contenuta postula la prevalenza del diritto alla compensazione rispetto alla prescrizione qualora il relativo termine non sia spirato nell’arco temporale di coesistenza dei crediti e dei debiti, e si fonda sul principio di ragionevolezza e di buona fede nella disciplina dei rapporti negoziali, rappresentando una declinazione di quello generale, secondo il quale quando due soggetti sono obbligati l’uno verso l’altro, i due debiti si estinguono per le quantità corrispondenti. Pertanto, se la prescrizione non è opposta, il giudice non potrà rilevarla d’ufficio; e potrà procedere alla liquidazione giudiziale del credito prescritto, a cui consegue la produzione non retroattiva di quell’effetto estintivo che è caratteristico della compensazione. Sulla questione si è espressa la magistratura contabile precisando che “un ente pubblico e una società in house non godono di un arbitrio transattivo, riconoscibile ad un privato, ma devono pur sempre avere come parametro l’equilibrio di bilancio che impone una attenta e oculata valutazione delle poste in transazione” (Corte conti, Sez. giur. reg. Lombardia, 19 luglio 2019, n. 196).
La carenza dell’atto transattivo
Nel caso di specie, a dire del Collegio contabile, non è in alcun modo ricavabile dal testo della delibera la indefettibile convenienza economica che deve caratterizzare la stipula della transazione. Infatti, uno degli elementi che l’ente deve considerare è la convenienza economica della transazione in relazione all’incertezza del giudizio, che tuttavia non trova alcuna esplicazione, nella fattispecie allo scrutinio della Sezione, limitandosi l’ente ad una mera valutazione aritmetica di reciproche pretese che sembrano tra l’altro prive di quell’indispensabile requisito della cosa dubbia. La insussistenza dell‘interesse pubblico sembra dimostrata non solo dalla assenza del requisito della reciproca concessione o dell’intento di prevenire la lite, ma anche dal fatto che l’atto rinviene una motivazione assolutamente apodittica nella affermata sussistenza dei presupposti, senza disvelare l’oscurità di un comportamento silente protratto per oltre un decennio di cui non è conseguentemente chiara la sussistenza dell’incertezza. La Cassazione (Cass. civile, Sez. I, 17 ottobre 2019, n. 26528) ha in più occasioni chiarito che “in tema di transazione, le reciproche concessioni alle quali fa riferimento l’art. 1965 c.c., comma 1, possono riguardare anche liti future non ancora instaurate ed eventuali danni non ancora manifestatisi, purché questi ultimi siano ragionevolmente prevedibili; (Cass. s.u. 8053/2014, Cass. 12320/2005, 2633/1982)”, nel cui perimetro non sembra essere ricompreso il credito prescritto.
A ciò si aggiunge l’inspiegabile prolungata inerzia dell’ente locale fino al verificarsi del compimento del periodo prescrizionale, ciò che non può e non deve costituire valido motivo per addivenire alla stipula di un accordo transattivo, una volta che sia spirato tale termine.
Pertanto, la rilevata assenza di una valida causa del negozio abdicativo, dovuta alla tardiva emersione di crediti e debiti oramai prescritti, senza che vi sia stato il tempestivo esercizio di essi, integra gli estremi di una responsabilità erariale.
Infine, in merito alla necessità o meno del parere dell’Organo di revisione anche nell’ipotesi in cui la competenza dell’accordo transattivo sia della Giunta comunale, il Collegio contabile ritiene che le transazioni che devono essere sottoposte a parere obbligatorio dell’organo di revisione sono solo quelle destinate a essere oggetto di una decisione di Consiglio comunale, e non anche gli accordi che si concludono in determinazioni dirigenziali o atti di Giunta. Tuttavia, è stato anche evidenziata l’importanza del parere dell’Organo di revisione contabile sulle delibere di approvazione di accordi transattivi, sottolineando l’opportunità da parte dell’ente locale di acquisire il parere all’Organo di revisione anche in riferimento a transazioni non di competenza del Consiglio, ove le stesse fossero tuttavia di particolare rilievo, suggerendo un intervento in via regolamentare, ai sensi dell’art. 239, comma 6 del TUEL, in considerazione del fatto che tale ampliamento è rimesso alla discrezionale potestà dell’ente locale.
In conclusione, il Collegio contabile avendo accertato l’illegittima adozione dell’atto di transazione adottato con deliberazione di Giunta comunale, trasmette gli atti alla Procura della Corte dei conti per il seguito di competenza.
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