ICI: la legittimazione passiva coinvolge anche il Comune

23 Gennaio 2024
Scarica PDF Stampa
Modifica zoom
100%
La suprema Corte ha riconosciuto, in merito all’ICI, la legittimazione passiva del Comune, quando la pretesa tributaria è avanzata sulla base di estimi diversi da quelli dichiarati dal contribuente o da quelli notificati dall’Agenzia del territorio.

Il caso

La Corte di cassazione, con l’ordinanza n. 32288 del 21 novembre 2023, è intervenuta partendo dagli accertamenti emessi per il triennio 2009, 2010 e 2011, dal Comune di Roma, per recuperare la maggior imposta comunale sugli immobili (ICI), dovuta per ciascun anno e calcolata sulla base di un estimo autonomamente definito dal medesimo Comune.
I due gradi di merito e quello di legittimità si erano conclusi con il rigetto dell’eccezione sollevata dalla società-contribuente, incentrata sul fatto che l’Agenzia del territorio non avesse mai notificato una variazione della rendita catastale, attribuita a un fabbricato di sua proprietà. La contribuente, in tutti i gradi di giudizio, ha sostenuto l’illegittimità della pretesa comunale, perché quantificata applicando valori superiori a quelli catastali.
La Cassazione, riesaminando il pronunciamento del 2021, ha constatato l’errore in giudicando, rilevando che fin dal primo grado la società aveva eccepito lo scostamento del Comune dai valori catastali.

Il principio giuridico

Con questa pronuncia, la suprema Corte ha riequilibrato gli oneri probatori, tra le parti processuali, in materia di ICI, trovando un punto d’incontro tra un primo filone giurisprudenziale, secondo il quale l’ente impositore è il legittimato passivo e l’Agenzia delle entrate – Territorio può assumere il ruolo di litisconsorte facoltativo improprio, e il secondo filone di merito, più rigido, che disconosce tout court la legittimazione passiva dell’ente impositore.
Nel caso in trattazione, i giudici di primo e di secondo grado, rispettivamente con le loro pronunce (Ctp Roma, sentenza n. 23699/41/2016 e Ctr Lazio, sentenza n. 7378/9/2017), hanno sposato il secondo orientamento, secondo il quale “la notifica del nuovo classamento, contestata dalla società, è di esclusiva spettanza dell’Agenzia del territorio” e, di conseguenza, soltanto quest’ultima sarebbe titolare della legittimazione processuale passiva.
Concludendo la suprema Corte, con l’ordinanza di novembre 2023, ha ribadito (cfr Cassazione, pronuncia n. 5404/2012) il valore fondativo della notifica della variazione degli estimi, confermando l’ineludibilità dell’obbligo fissato dall’articolo 74 della legge n. 342/2000. In pratica, in assenza di una formale notifica, eseguita dall’Agenzia delle entrate – ufficio del Territorio, l’ente impositore deve attenersi al valore catastale, anche se esso discende da quantificazione autodefinita dal contribuente, con presentazione della dichiarazione di accatastamento, tramite Docfa (Documento catasto fabbricati), ai sensi del Dm n. 701/1994. Qualora, invece, l’ente impositore si discosti dai valori catastali, esso non può eccepire la carenza di legittimazione passiva, perché risulta essere l’unico soggetto titolato a resistere alle contestazioni del contribuente, dal momento che ha assunto autonomi elementi per determinare un imponibile diverso da quello catastalmente definito.

Scrivi un commento

Accedi per poter inserire un commento