La proroga dei contratti flessibili disposta dal legislatore per la stabilizzazione non elide il danno comunitario

23 Aprile 2024
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Il ricorso alla proroga dei contratti a tempo determinato, ai fini dell’assunzione del dipendente mediante la procedura di stabilizzazione, pur disposta dalla legge, non sottrae l’ente dal risarcimento dal danno comunitario se il periodo superi in ogni caso i trentasei mesi. Sono queste le indicazioni della Cassazione (Ordinanza n. 10553/2024) che ha sanzionato un ente locale per illegittima protrazione dei contratti a termini superiori al periodo massimo.

Il fatto

Un dipendente assunto a tempo determinato che si è visto prorogare il contratto da disposizioni legislative (art. 4, comma 9, del d.l. n. 101/2013), ai fini della stabilizzazione a tempo indeterminato, ha agito contro la propria amministrazione per violazione dei termini massimi per la durata dei contratti a tempo determinato, per un periodo superiore ai 36 mesi previsto dalla normativa. Il Tribunale di primo grado e la Corte di appello hanno dato ragione al dipendente liquidando il danno subito in sei mensilità.
Avverso la sentenza di soccombenza l’ente locale ha presentato ricorso in Cassazione in quanto il superamento del periodo dei trentasei mesi era avvenuto sulla base di specifiche disposizioni legislative, ossia la proroga è stata consentita dall’4, comma 9, del d.l. n. 101/2013 oltre che dalla legge di stabilità 2015.

Il rigetto del ricorso

Secondo la Cassazione il ricorso dell’ente locale è stato giudicato infondato, in quanto posto in violazione della normativa europea. Infatti, la clausola 5 dell’accordo quadro, allegato alla direttiva 1999/70/CE, stabilisce che, in difetto di espressa deroga che renda compatibile la disciplina invocata con la finalità di prevenzione degli abusi da successione dei contratti a tempo determinato sottesa all’introduzione del limite massimo di durata complessiva di cui all’art. 5, comma 4-bis, del d.lgs. n. 368 del 2001, conduce a ritenere che l’ammissibilità delle proroghe ivi previste risulti condizionata dal mancato superamento del predetto limite di trentasei mesi, non venendo in rilievo l’apposita proroga preordinata al procedimento di stabilizzazione. L’applicazione della sanzione (cosiddetto “danno comunitario”) rilevata dai giudici di appello è, inoltre, da considerare proporzionale all’illegittimità dell’abuso compiuto, in quanto prevista dal legislatore (art. 32, comma 5, della legge n. 183/2010) tra un minimo di 2,5 mensilità fino ad un massimo di 12 mensilità. D’altra parte, i giudici di appello, hanno confermato la medesima misura sanzionatoria operata dai giudici di primo grado.

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