Il fatto
Due dipendenti della Prefettura sono state condannate per truffa aggravata e danno all’immagine verso al proprio amministrazione. La Cassazione, pur confermando il reato di truffa aggravata, ha escluso il danno all’immagine richiesto dalle parti civili, considerando tuttora vigente la limitazione all’azione risarcitoria per il danno in argomento ai soli reati previsti nel capo I del titolo II del libro secondo del codice penale (ossia reati contro la PA).
Le medesime dipendenti sono state anche rinviate a giudizio davanti alla Corte dei conti sia per il danno erariale consistente alla retribuzione ricevuta ma non dovuta in ragione dell’assenza dal servizio. Si tratterebbe, a dire della procura contabile, di un danno patrimoniale, pari all’ingiusto profitto per la retribuzione percepita in relazione alle giornate nelle quali è stata accertata l’assenza ingiustificata durante l’orario di servizio, che non è stato assolto secondo tempi e modalità previste dal rapporto contrattuale, con corrispondente lesione del nesso sinallagmatico. A tale danno deve essere aggiunto anche il danno all’immagine della PA, ritenendo che tale danno possa essere contestato sulla base dell’ipotesi di cui all’art. 55-quinquies del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165 sull’assenteismo fraudolento, in ragione dei provati episodi di allontanamento dal luogo di lavoro in assenza di timbratura dei quali le convenute si sono rese protagoniste.
Le precisazioni del Collegio contabile
Per i giudici contabile, anche in ragione della contumacia delle convenute, la sentenza irrevocabile di condanna ha efficacia di giudicato quanto all’accertamento della sussistenza del fatto, della sua illiceità penale e all’affermazione che l’imputato lo ha commesso. Mentre non vi sono dubbi, pertanto, sul danno patrimoniale, la questione riguarda la possibilità di non violare il principio del ne bis in idem in tema di danno all’immagine. Infatti, se è vero che la Cassazione abbia escluso nella sua sentenza il danno all’immagine, è altrettanto vero che il giudizio di responsabilità amministrativa sia autonomo rispetto a quello penale, in quanto basato su presupposti diversi (rapporto di servizio, condotta, elemento soggettivo del dolo o della colpa grave, nesso di causalità e danno erariale) e avendo finalità diverse (prettamente risarcitorie, anziché sanzionatorie). A dire del Collegio contabile, la Cassazione nell’escludere il danno all’immagine non ha, tuttavia, indicato le ragioni per cui il danno all’immagine non potrebbe essere contestato nell’ipotesi di assenteismo fraudolento prevista dalla speciale disposizione di cui all’art. 55-quinquies, del d.lgs. n.165/2001.
Il Collegio contabile, a tal proposito, ha ritenuto di aderire alle indicazioni della SEZ. I° Centrale di appello della Corte dei conti (sentenza n. 76/2024) secondo cui, in ragione della natura speciale e derogatoria dell’art. 55-quinquies del d. lgs. n. 165/2001, il quantum del detrimento all’immagine dev’essere ricostruito facendo ricorso alla disciplina generale dettata per il danno erariale (invece che al criterio del “duplum” disposto dell’art 1, comma 1-sexies, della legge n. 20/1994), potendosi dunque fare ricorso agli ordinari strumenti interpretativi propri del giudice, tra i quali l’impiego del potere di determinazione equitativa.
In conclusione, il Collegio contabile ha quantificato il danno all’immagine pari al doppio del danno patrimoniale subito dall’ente per i periodi per i quali sono state accertate le condotte fraudolente delle convenute.
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