di Gianni Trovati (22/05/2024)
L’Anci alle commissioni Bilancio: «Da escludere restrizioni quantitative»
Nel linguaggio formale utilizzato ieri dal presidente dell’Ifel Alessandro Canelli in audizione alle commissioni Bilancio di Camera e Senato sulla riforma delle regole fiscali europee i sindaci chiedono «una attenta riflessione che, ad avviso dell’Anci, dovrebbe condurre all’esclusione degli enti locali da nuove restrizioni quantitative». Tradotto in un italiano più corrente, gli amministratori avvertono il Governo: non venga in mente a nessuno di tradurre i vincoli europei in un tetto di spesa agli enti locali, né a livello di comparto né, tanto meno, di singolo Comune.
Le possibili ricadute della governance economica comunitaria riformata sono una delle domande al centro dell’indagine conoscitiva avviata dalle commissioni Bilancio, che concluderà il ciclo di audizioni oggi con gli interventi di Ragioneria generale e Tesoro. Il tema è delicato sul piano politico e su quello tecnico, anche perché il foglio per ora è bianco e aperto a un ventaglio amplissimo di soluzioni: dal lasciare tutto com’è, con la finanza locale messa sotto controllo dalla regola del pareggio di bilancio calcolato sul complesso degli enti, alla reintroduzione di tetti di uscite che provino a replicare in chiave locale il parametro chiave del nuovo Patto fondato sul limite alla spesa primaria netta per ridurre deficit e debito. Può apparire una questione da ragionieri. Non lo è. Lo sanno bene gli amministratori locali, a cui le parole «Patto di stabilità» riportano alla mente i lunghi anni di tagli (14,4 miliardi cumulati fra 2011 e 2020 per Comuni e Città metropolitane, per non parlare delle Province martoriate anche dai vani tentativi di riforma) accompagnati dagli aumenti fiscali nel tentativo non sempre riuscito di far quadrare i conti; in una cura che per contorno ha ridotto di circa un terzo il personale e ridotto al minimo storico gli investimenti locali. Lo stallo è stato superato a partire dal 2016, quando il Governo Renzi ha sostituito il Patto di stabilità interno con il pareggio di bilancio; la ripresa ha chiesto molto tempo, ma nel 2023 le uscite in conto capitale di Comuni e Province sono arrivate al raddoppio rispetto a sei anni prima, mentre il debito locale ha continuato a scendere come la spesa in rapporto al Pil (due differenze non marginali rispetto alle dinamiche nazionali).
Sulla base di questi dati, che tradotti in concreto significano livelli di servizio e opere pubbliche, l’idea di un cambio di regole spaventa. Anche perché, hanno sostenuto Comuni e Province davanti alle commissioni, i bilanci locali non sembrano oggi avere margini né sulle entrate né sulle uscite. Ieri i sindaci hanno ribadito la differenza negativa di circa 7 miliardi fra gli standard di capacità fiscali e fabbisogni, coperta con gli aumenti di aliquote che sono infatti quasi ovunque ai massimi di legge. La scorsa settimana le Province avevano spiegato in audizione che nel loro caso lo squilibrio è di 842 milioni, riconosciuto anche dal Governo Draghi che infatti nella manovra 2022 ha creato un fondo in grado però di coprire solo metà del buco in tempi peraltro non fulminei (va a regime nel 2031).
La cautela su una traduzione locale dei nuovi vincoli di spesa non sembra però limitata agli amministratori. Ieri in audizione l’ha mostrata anche Marco Buti, che da capo di gabinetto del commissario Ue all’Economia Paolo Gentiloni ha seguito in prima linea fino a maggio 2023 la gestazione della nuova governance comunitaria. «La riforma – ha spiegato – impone una rivoluzione copernicana anche nella programmazione, e cercare di applicare tutto e subito anche agli enti locali forse è un boccone troppo grosso».
In collaborazione con Mimesi s.r.l. – Articolo integrale pubblicato su Ilsole24ore del 22 maggio 2024
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