Investimenti, conti pubblici e governance Ue: le sfide per l’Italia

di EMANUELA PERRONE – Le 170 proposte contenute nelle 400 pagine del rapporto Draghi sulla competitività europea prefigurano per l’Italia una partita doppia

Il Sole 24 Ore
Luca Nobilini 10 Settembre 2024
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Le 170 proposte contenute nelle 400 pagine del rapporto Draghi sulla competitività europea prefigurano per l’Italia una partita doppia. Da una parte c’è l’insistenza su temi cari anche al governo Meloni, come la rimozione delle barriere all’innovazione, il rafforzamento della cooperazione sulla difesa, la riduzione dell’eccesso di regolamentazione e la sburocratizzazione. Dall’altra parte compaiono alcune sfide più indigeste.
 
Due su tutte: la riforma della governance per limitare il ricorso all’unanimità nelle decisioni, che tanto irrita i sovranisti di tutta Europa e che divide la maggioranza in Italia, e l’enfasi posta sulla correlazione tra gli sforzi per aumentare la produttività e l’allargamento dello spazio fiscale per finanziare i beni pubblici europei (a patto che, ricorda Draghi, l’attenzione alla sostenibilità del debito resti prioritaria a livello nazionale: un alert per l’Italia). Un nesso logico, fanno notare alcuni osservatori qualificati, ma che evoca, dai tempi dell’esecutivo Monti, l’idea dei «contractual arrangements» associati a un meccanismo di solidarietà per le riforme strutturali nazionali, ossia di un patto implicito fondato su “riforme subito in cambio di spazi fiscali domani”. Uno scambio poco popolare per diverse opinioni pubbliche, compresa la nostra. Vero è che nel documento l’ex presidente Bce smussa gli spigoli, individuando nell’«innovazione di frontiera» (la «breakthrough innovation») l’ambito in cui tutta l’industria europea è più vulnerabile e perciò il campo meritevole di sforzi congiunti per potenziare gli investimenti pubblici. Anche l’aumento delle risorse a disposizione della Commissione rinviando il pagamento del rimborso del Next Generation Eu è posto come invito agli Stati membri a «considerarlo», in assenza di un accordo tra i Ventisette sull’identificazione di nuove risorse proprie per rimpolpare il bilancio comunitario 2028-2034 su cui grava proprio il pagamento del debito contratto per finanziare il Ngeu.
 
L’impressione a Roma, fatta eccezione per i leghisti (contrari a nuovi bond comuni e a ogni cessione di sovranità) e la sinistra di Avs (che si oppone al potenziamento delle spese comuni per la difesa), è che nulla suoni particolarmente irritante per l’Italia, anzi. Anche le imprese concordano. Apprezzamento per il rapporto è stato espresso ieri da Filippo Girardi, presidente della Federazione Anie di Confindustria, che condivide l’urgenza di agire per sostenere i tre fronti dell’innovazione, dell’energia e della sicurezza, «priorità che sono anche alla base delle strategie del sistema di imprese della Federazione». Raccoglie consensi trasversali l’approccio realistico alla transizione energetica che, avverte Draghi, «sarà graduale», con i combustibili fossili che «continueranno a svolgere un ruolo centrale nella determinazione dei prezzi dell’energia per il resto di questo decennio» e con la raccomandazione di «accelerare lo sviluppo del nucleare di nuova generazione».
 
Dalle parti di Palazzo Chigi si sceglie di evitare ogni commento, salvo ribadire l’orgoglio già espresso dalla premier Giorgia Meloni a Cernobbio per il fatto che due italiani – Draghi ed Enrico Letta siano stati chiamati dall’Ue a fare le loro valutazioni su competitività e mercato unico. D’altronde la stessa definizione di «European common goods» si deve all’Italia: comparve per la prima volta nel 2016 in un non paper messo a punto dall’allora ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan con il dipartimento del Tesoro. La prudenza è peraltro d’obbligo, mentre Ursula von der Leyen va completando il puzzle della nuova Commissione e l’Italia si aspetta deleghe di peso per Raffaele Fitto. Ecco, il punto vero sarà capire quali delle proposte del rapporto Draghi finiranno nelle «lettere di incarico» che la presidente sta predisponendo per i commissari. E chi ha davvero a cuore la «sfida esistenziale» europea.

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