L’Agenzia delle Entrate con risposta n.20 del 29 novembre 2019 entra nel merito del quesito posto da un ente pubblico che riguarda l’assunzione di dipendente vincitori di concorso pubblico con rapporto di lavoro di dipendente pubblico a tempo pieno, già titolari di partita IVA in ragione dello svolgimento, prima di entrare in servizio, di un’attività professionale. In particolare, chiede se i neoassunti debbano ovvero possano mantenere o meno apertala partita IVA per il tempo strettamente necessario alla riscossione dei crediti afferenti alla pregressa attività professionale e maturati prima dell’assunzione.
La risposta dell’Agenzia delle Entrate
Premette l’Agenzia che si è in presenza di un tema complesso che ha visto diversi pronunciamenti sia da parte dell’amministrazione finanziaria che della giurisprudenza. Secondo l’Agenzia la cessazione dell’attività professionale, con conseguente cessazione della partita IVA, non può prescindere dalla conclusione di tutti gli adempimenti conseguenti alle operazioni attive e passive effettuate. Pertanto, il professionista che non svolge più l’attività professionale non può cessare la partita IVA in presenza di corrispettivi per prestazioni rese in tale ambito ancora da fatturare ai propri clienti. Già con circolare del 16/02/2007 n.11 l’Agenzia delle Entrate aveva modo di precisare che “l’attività del professionista non si può considerare cessata fino all’esaurimento di tutte le operazioni, ulteriori rispetto all’interruzione delle prestazioni professionali, dirette alla definizione dei rapporti giuridici pendenti, ed, in particolare, di quelli aventi ad oggetto crediti strettamente connessi alla fase di svolgimento dell’attività professionale”. Mentre con successiva risoluzione n.232/E del 20/08/2009 è stato ulteriormente specificato che”La cessazione dell’attività per il professionista non coincide, pertanto, con il momento in cui egli si astiene dal porre in essere le prestazioni professionali, bensì con quello, successivo, in cui chiude i rapporti professionali, fatturando tutte le prestazioni svolte e dismettendo i beni strumentali. Fino al momento in cui il professionista, che non intenda anticipare la fatturazione rispetto al momento di incasso del corrispettivo, non realizza la riscossione dei crediti, la cui esazione sia ritenuta ragionevolmente possibile (perché, ad esempio, non è decorso il termine di prescrizione di cui all’art. 2956, comma 1, n. 2 del codice civile) l’attività professionale non può ritenersi cessata”.
I giudici di legittimità (SS.UU. sentenza n.8059 del 21/04/2016) hanno confermato tali indicazioni pronunciando il seguente principio di diritto “il compenso di prestazione professionale è imponibile ai fini IVA, anche se percepito successivamente alla cessazione dell’attività, nel cui ambito la prestazione è stata effettuata, ed alla relativa formalizzazione”; e questo perché “[…] il fatto generatore del tributo IVA e, dunque, l’insorgenza della correlativa imponibilità vanno identificati […] con la materiale esecuzione della prestazione, giacché, in doverosa aderenza alla disciplina Europea, la previsione di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 6, comma 3, va intesa nel senso che, con il conseguimento del compenso, coincide, non l’evento generatore del tributo, bensì, per esigenze di semplificazione funzionali alla riscossione, solo la sua condizione di esigibilità ed estremo limite temporale per l’adempimento dell’obbligo di fatturazione”.
Tanto premesso, evidenziano i tecnici dell’Agenzia come resta pur sempre possibile per il professionista la possibilità di anticipare la fatturazione delle prestazioni rese e, quindi, l’esigibilità dell’IVA rispetto al momento dell’effettivo incasso e poi chiudere la partita IVA. In tale evenienza, vanno computate nell’ultima dichiarazione annuale IVA, ove effettuate, “anche le operazioni indicate nel quinto comma dell’articolo 6, per le quali non si è verificata l’esigibilità dell’imposta” (così il comma 4 dell’articolo 35 del D.P.R. n. 633 del 1972).
Si precisa, infine, che nella disciplina dell’IVA, delle imposte sui redditi e dell’IRAP non si rinvengono disposizioni che vietino ai dipendenti pubblici di mantenere l’attribuzione della partita IVA in riferimento agli adempimenti fiscali relativi ad attività di lavoro autonomo precedentemente svolta.
Tuttavia, l’Agenzia precisa la sua non competenza a trattare la questione sotto il profilo dell’applicazione della complessa disciplina delle inconferibilità e incompatibilità riguardanti il rapporto di pubblico impiego.
Conclusioni
Una possibile situazione, fermo restando il principio del conflitto di interessi e il rispetto del codice di comportamento, potrebbe essere quello di evidenziare sin dall’inizio dell’assunzione la titolarità della partita IVA all’amministrazione, rendendo pertanto nota la questione all’ente, ed ottenere una autorizzazione per il mantenimento della la partita I.V.A. aperta esclusivamente per poter emettere regolare parcella al momento dell’incasso di prestazioni professionali svolte nel periodo precedente all’assunzione e con l’impegno da parte del dipendente, ai sensi dell’art.53 del d.lgs. 165/01, di non svolgere più alcuna attività in riferimento a tale partita I.V.A. impegnandosi a cessarla non appena incassate le proprie competenze.
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