Il fatto
La Procura contabile ha rinviato a giudizio per responsabilità contabile una dipendente di una ASL che, tra le altre cose oggetto di censura, aveva svolto in via continuativa l’amministratrice di una società agricola, di cui deteneva la quota di partecipazione del 25%. A dire della Procura lo svolgimento di tale attività sarebbe incompatibile del rapporto a tempo pieno della dipendente in quanto in contrasto con l’art. 53 d.lgs. n. 165/2001 e con gli artt. 60 ss. d.P.R. n. 3/1957, nonché con l’art. 4, comma 7, l. n. 412/1991. A dire della dipendente l’assenza di lucro e la natura stessa dell’impresa agricola indurrebbero a ritenere l’assenza di incompatibilità tra il ruolo ricoperto dalla convenuta nell’impresa e quello svolto nella struttura ospedaliera. D’altra parte, sempre in sede di difesa, la dipendente a sostenuto che l’attività agricola sarebbe compatibile con l’impiego a tempo pieno, siccome non inclusa tra quelle espressamente vietate dall’art. 60 d.P.R. n. 3/1957.
La conferma del divieto
In merito al danno erariale per attività incompatibili, il Collegio contabile ha condiviso le motivazioni della Procura. Infatti, l’art. 60 d.P.R. n. 3/1957 prevede, univocamente, il divieto di esercizio del commercio, stabilendo che “L’impiegato non può esercitare il commercio, l’industria, né alcuna professione o assumere impieghi alle dipendenze di privati o accettare cariche in società costituite a fine di lucro”; divieto che è posto a presidio del principio di esclusività, custodito dalla Carta costituzionale (art. 98 Cost.) e dalla norma primaria (art. 53 d.lgs. n. 165/2001). L’incompatibilità tra lo status giuridico ed economico dei dipendenti pubblici e l’attività di impresa ex art. 2082 c.c. non soffre eccezione neppure in relazione all’attività agricola. D’altra parte, su tale incompatibilità si è espressa anche la Cassazione (ordinanza n.27420/2020) secondo la quale l’impresa agricola può essere costituita nella forma di società di persone (società semplici, s.n.c. o s.a.s.), società di capitali (s.r.l. o s.p.a.) e cooperativa e deve essere iscritta al Registro delle Imprese presso la Camera di Commercio. Allora, interpretata la disposizione di cui all’art. 60 del D.P.R. n. 3 del 1957, in un senso più aderente alla realtà attuale, non può che intendersi la stessa riferita anche a tale tipo di impresa agricola. Nel caso di specie, la dipendente a tempo pieno oltre ad essere titolare di una partecipazione pari al 25%, era stata investita anche della qualifica di amministratrice della società. Lo stesso giudice del lavoro in primo grado, a seguito del licenziamento della dipendente, ne ha rigettato il ricorso per non avere “informato la datrice di lavoro o abbia richiesto l’autorizzazione a svolgere incarichi extralavorativi […] a fronte di tale quadro probatorio, non smentito da evidenze di segno contrario, può ritenersi integrata la giusta causa di licenziamento”. In merito alla quantificazione del danno erariale, secondo il Collegio contabile, il quantum va rapportato agli emolumenti percepiti nell’orizzonte di tempo entro il quale l’attività incompatibile è stata esercitata; posto che all’esercizio di attività non autorizzate si correla il ridimensionamento, se non la radicale elisione, del nesso di corrispettività tra impiego pubblico e retribuzione. In altri termini, essendo gli emolumenti correlati e proporzionati a una condizione di esclusività, la violazione di quest’ultima incide sullo stesso valore della prestazione resa all’Amministrazione e conseguentemente sulla misura della retribuzione corrisposta, ritenendo equo parametrare nel 25% degli emolumenti percepiti il danno erariale procurato all’ente per la condotta violativa del principio di esclusività.
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