Danno erariale e da disservizio per il funzionario che ha disposto rimborsi tributari inesistenti

15 Gennaio 2024
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Il funzionario dell’ufficio tributi che ha accesso al sistema informatico ed organizza rimborsi fittizi delle imposte comunali, al fine di veicolare tali rimborsi nella propria disponibilità, oltre al danno erariale pari agli importi illecitamente rimborsati  va condannato anche per il disservizio causato dal suo comportamento. Sono queste le conclusioni della Corte dei conti della Toscana (sentenza n. 336/2023) che ha condannato il funzionario sia per il danno erariale per i rimborsi dolosamente disposti, sia per il danno da disservizio causato all’ente equitativamente disposto nel 10% della sua retribuzione.

I fatti

A fronte di una serie di rimborsi inesistenti un funzionario è stato citato in giudizio per danno erariale, in ragione dei pagamenti disposti su domande di società e privati inesistenti ma con versamento riconducibile alla sua persona, tramite soggetti privati di comodo che avrebbero a lui riversato i proventi illeciti percepiti, oltre al pagamento del danno da disservizio pari al 50% della sua retribuzione. In ragione del rinvio anche nel giudizio penale, la quantificazione del disservizio, oltre ai reati di truffa aggravata e di accesso abusivo al sistema informatico, era stato calcolato a poco più di 1 mille euro dall’ente rispetto ai circa 44 mila euro calcolati dalla procura. A propria difesa il dipendente ha certificato come improponibile le accuse della procura e richiesto l’applicazione del danno da disservizio nei limiti quantificati dall’ente in sede penale.

La decisione del Collegio contabile

In ragione delle prove documentali acquisite dalla Procura contabile e nel fascicolo del processo penale, il Collegio contabile ha quantificato l’illecito e doloso rimborso dei tributi disposti quale danno erariale equivalente al valore accertato dalla Procura. In merito al danno da disservizio la quantificazione della Procura contabile è stata accolta solo parzialmente. A dire dei giudici contabili, infatti, il danno da disservizio non è solo quello calcolato dall’ente in sede penale, ossia pari alle ore dedicate dal funzionario per le sue attività illecite ma rivesta un carattere più ampio. Infatti, tale danno riguarda non tanto il tempo-lavoro dedicato all’illecito, quanto il tempo lavoro utilizzato dagli altri dipendenti, alla scoperta dei fatti, per la predisposizione del fascicolo di denuncia-esposto ed eventuali indagini interne. Allora è errata la quantificazione operata dal Comune leso, nel momento in cui quantifica un danno – di fatto, secondo la sua natura di danno da violazione del nesso sinallagmatico – parametrandolo unicamente al numero di ore presumibilmente utilizzato dal funzionario per procedere agli inserimenti illeciti nelle procedure informatizzate e, più in generale, alla creazione delle domande di rimborso fittizie. Pertanto, per la sua quantificazione si deve tenere conto non solo del tempo strettamente necessario per perpetrare l’illecito, ma, più correttamente, anche degli effetti sistemici che una simile condotta determina sul rapporto di lavoro, di cui è minata la fiducia che l’Amministrazione ripone nell’esatta esecuzione della prestazione. Ne discende che, l’ammontare non può essere atomisticamente ed esclusivamente commisurato al mero calcolo dei tempi di lavoro oggettivamente necessari ed impiegati nella prestazione lavorativa illecita – concretamente finalizzata agli interventi sui sistemi informatici per inserimenti di domande di rimborso e iban falsi – dovendosi considerare preponderante il parametro di generale disordine arrecato dai comportamenti illeciti del funzionario nel sistema amministrativo dell’ufficio e la sua sostanziale incidenza operativa che comporta l’ampliamento dell’orizzonte in cui si colloca tale lesione patrimoniale per la P.A. Nel caso di specie, rispetto alla produttività delle attività espletate dal convenuto, non appare coerente neppure la quantificazione operata dalla Procura erariale, che ha ritenuto che abbia potuto dedicare all’attività illecita contestata riassumibile nella manipolazione e alterazione di 27 fascicoli in 4 anni, un tempo pari al 50% di quello dedicato al lavoro “lecitamente” svolto nel periodo.
Per il Collegio contabile, precisato quanto sopra, ha ritenuto corretto quantificare il danno da violazione del sinallagma contrattuale ascrivibile alla condotta fraudolenta del convenuto nel 10% della retribuzione stessa, per il periodo considerato, in base ad una valutazione in via equitativa del danno, per un importo pari a circa 8 mila euro.

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