Danno erariale e peculato per il responsabile finanziario che liquida incentivi non dovuti

4 Dicembre 2018
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La liquidazione degli incentivi per il recupero dell’ ICI, in presenza di una affidamento ad un concessionario esterno ed in difformità del regolamento comunale, comporta oltre al danno erariale anche il reato di peculato per il responsabile dei servizi finanziari del Comune. Queste sono le conclusioni cui è giunta la Corte di Cassazione con la sentenza n.49922 depositata in data 02/11/2018.

La vicenda

Il responsabile dei servizi finanziari aveva nel tempo liquidato, a se e ad altri dipendenti, gli incentivi per l’accertamento e la riscossione del recupero dell’ICI, in presenza di una esternalizzazione del servizio a società concessionarie esterne e in difformità dal regolamento comunale. La Corte dei conti, dopo il rinvio a giudizio del responsabile, aveva accertato il danno erariale, sia in primo grado che in appello, per aver contravvenuto alla normativa di settore che vieta ogni automatismo nella corresponsione degli emolumenti accessori ai dipendenti dell’amministrazione comunale e che richiede, invece, un incremento della prestazione lavorativa o dei risultati, tenuto anche che l’erogazione di tali incentivi al personale avveniva in alcuni casi per liquidazione diretta e non controllata, attraverso pagamenti «fuori busta» e non dichiarati nel CUD, senza costituire il fondo finalizzato a potenziare l’ufficio tributi del Comune. Inoltre, secondo i giudici contabili, l’erogazione degli incentivi era avvenuta non sulle somme incassate dell’imposta evasa, e quindi in applicazione del criterio di cassa, ma con riferimento alle somme accertate negli avvisi di pagamento e non contestate dai contribuenti, con conseguente liquidazione per importi virtuali ovverosia per acconti posti a carico delle annualità precedenti di bilancio, con utilizzo dei residui del conto degli esercizi precedenti. Inoltre, il responsabile finanziario avrebbe proceduto alla liquidazione anche per se stesso in evidente conflitto di interessi.

Al rilevo della condanna erariale è seguita anche la condanna per peculato del responsabile finanziario, sia in primo grado che in appello, con pene accessorie comminate riguardanti l’estinzione del rapporto di lavoro pubblico con l’ente comunale e l’interdizione perpetua dai pubblici uffici.

Avverso la sentenza della Corte di appello ricorre in Cassazione l’imputato, evidenziando gli errori contenuti nella sentenza di condanna. In particolare, non sarebbe stato adeguatamente valorizzato il fatto che il responsabile finanziario con proprie determine avrebbe provveduto ad istituire per ogni esercizio il fondo incentivante in bilancio, poi approvato dalla giunta comunale e dai revisori dei conti, ponendo poi in pagamento i compensi maturati sul conto residui passivi dell’esercizio precedente senza che l’utilizzo di una siffatta modalità fosse indice di illegittimità. Inoltre, l’approvazione del bilancio da parte della giunta e la votazione in sede di consiglio comunale con la relazione dell’organo di revisione (ex artt. 162 e 239 d.lgs. n. 267 del 2000) avrebbero escluso il carattere «incontrollato» della liquidazione dei compensi incentivanti. Avuto riguardo all’autoliquidazione disposta, non si sarebbe in presenza di un conflitto di interessi trattandosi di adempimento cui nessun altro avrebbe potuto provvedere.

Le precisazioni della Suprema Corte

Rilevano i giudici di Piazza Cavour come il reato di peculato, contestato al responsabile dell’ufficio finanziario, discenda nella motivazione di essersi appropriato, avendone per ragioni del suo ufficio la disponibilità, del denaro di cassa dell’amministrazione comunale, provvedendo a liquidare a se stesso e ad altri dipendenti, compensi incentivanti per la riscossione dell’I.C.I. non dovuti per le modalità di calcolo osservate, difformi da quelle previste dalla disciplina di settore, e trattandosi di attività esternalizzata a terzi. Nel caso di specie, inoltre, è mancata l’istituzione del fondo e l’approvazione del correlato programma con definizione degli obiettivi di risultato rispetto ai quali valutare l’attività dei dipendenti addetti al settore. Tale comportamento, d’altra parte, è stato giudicato di particolare gravità dalla stessa Corte dei conti che, nei due giudizi di primo e di secondo grado, ha condannato l’imputato per danno erariale. Inoltre, nel caso di specie l’organo politico non ha fissato quegli obiettivi programmatici annuali capaci di valorizzare la necessaria correlazione tra produttività e raggiungimento di tali obiettivi, rafforzando tali conclusioni proprio per la mancata adozione in sede di contrattazione collettiva decentrata di criteri di determinazione e di attribuzione delle forme di incentivazione. In altri termini, l’erogazione di tali incentivi è avvenuta in assenza di ogni riferimento agli obiettivi in concreto perseguibili rispetto a prefissati standard di produttività ed ai criteri di valutazione da applicarsi. A ciò si aggiunge, secondo la Cassazione, il fatto che tali servizi erano stati esternalizzati ciò che avrebbe dovuto indurre, nell’erogazione degli incentivi, ad una progettazione più rigorosa degli obiettivi dell’ufficio comunale, con individuazione dei criteri di valutazione dei singoli addetti. Infatti, la presenza di un sistema misto, in cui alla esternalizzazione o gestione a mezzo terzi si accompagnava anche una gestione in economia degli uffici comunali, gli incentivi erogati dal responsabile finanziario vennero comunque calcolati sui risultati raggiunti dal concessionario e non sulle attività del personale interno, in ogni caso non quantificabili in mancanza di progetti ed obiettivi.

Sulla base dei sopra indicati motivi la condanna del reato di peculato va confermata.

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