Danno erariale per incarichi extra senza autorizzazione. L’archiviazione del procedimento penale non salva il dipendente pubblico

5 Settembre 2024
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L’assenza dell’elemento psicologico del reato, con relativa assoluzione per la dichiarazione non veritiera circa l’assenza di altri incarichi, non impedisce al giudice contabile di quantificare il danno erariale pari alle somme indebitamente ricevute dal dipendente pubblico per incarichi esterni non autorizzati. Sono queste le conclusioni della Corte dei conti per la Toscana (sentenza n. 82/2024) che ha condannato una dipendente pubblica per i compensi esterni ricevuti in assenza di preventiva autorizzazione dell’ente di appartenenza o perché vietati dalla normativa.

La vicenda

Una dipendente pubblica, quale docente di una scuola, è stata rinviata a giudizio per aver svolto, in concomitanza dell’incarico ricevuto dalla PA, incarichi vietati o non autorizzati, quali titolare, delle seguenti cariche: a) socia accomandataria di una società in accomandita semplice, con detenzione della quota pari al 30% della società; b) socia amministratrice di un’Azienda agricola con quota pari al 44,62%; c) socia accomandataria di una società in accomandita semplice con detenzione della quota pari al 30% della società. Nonostante le citate cariche vietate per un pubblico dipendente, la dipendente procedeva nell’autodichiarare l’assenza di incarichi presso terzi. A seguito della segnalazione del dirigente scolastico veniva avviato un procedimento penale che si concludeva, sulla base della richiesta di archiviazione dello stesso PM, con decreto di archiviazione da parte del GIP del Tribunale per assenza dell’elemento psicologico del reato. Il PM contabile, pertanto, ha contestato al dipendente pubblico la violazione dell’impianto normativo in tema di incompatibilità, cumulo di impieghi ed incarichi da parte dei dipendenti pubblici e costituito dagli articoli n. 60 del d.p.r. n. 3/1957, art. 508 del d.lgs. n. 297/1994 e dall’ art. 53, comma 7, del d.lgs. n. 165/2001, richiedendo una condanna erariale pari alle retribuzioni lorde percepite per l’attività esterna svolta in assenza dell’autorizzazione dell’ente di appartenenza. Nella difesa della dipendente è stato anche osservato l’assoluzione mediante archiviazione del procedimento penale.

La condanna erariale

Il Collegio contabile ha osservato come il provvedimento di archiviazione in sede penale, a differenza della sentenza, che presuppone il processo, ha per presupposto la mancanza di un processo e non dà luogo a preclusioni di alcun genere (Cass. n. 1157/2021 e n. 12489/2022). Peraltro la responsabilità amministrativa e quella penale operano su piani ed ambiti diversi, avendo la prima natura risarcitoria e la seconda sanzionatoria. In altri termini, l’archiviazione intervenuta nel processo penale non è invocabile nel presente giudizio perché priva dell’efficacia extra penale propria della sentenza passata in giudicato.

Nel caso di specie trova applicazione il quadro normativo in materia di attività svolte dal dipendente pubblico e di eventuali incompatibilità è previsto in via iniziale all’ art. 60 del d.p.r. del 10 gennaio 1957 n. 3. “l’impiegato non può assumere il commercio, l’industria, né alcuna professione o assumere impieghi alle dipendenze di privati o accettare cariche in società costituite a fine di lucro, tranne che si tratti di cariche in società o enti per le quali la nomina è riservata allo Stato e sia all’ uopo intervenuta l’autorizzazione del Ministro competente” e successivamente previsto dall’art.53 del d.lgs. n. 165 del 2001 avente ad oggetto “incompatibilità, cumulo di impieghi e incarichi” è stato disposto che “resta ferma per tutti i dipendenti pubblici la disciplina delle incompatibilità dettata dagli articoli 60 e seguenti del testo unico approvato con decreto del Presidente della Repubblica10 gennaio 1957 n.3”, salve le deroghe di legge e quelle specificamente previste per i rapporti di lavoro a tempo parziale. La normativa richiamata si fonda sul presupposto che i pubblici impiegati, tra cui l’odierna convenuta, dipendente di una amministrazione pubblica, sono al servizio esclusivo dell’ente pubblico datore di lavoro ( art. 98 della Costituzione) con l’ esigenza di tutelare l’ interesse pubblico specifico al rispetto del dovere di esclusività del dipendente pubblico al di fuori delle ipotesi e salvo autorizzazione rafforzando, in siffatto modo, il principio di imparzialità e buon andamento della Pubblica amministrazione, di cui all’ art. 97 Cost. (Cass. n. 9801/2024), sottraendo in siffatto modo tutti coloro che svolgono un’ attività lavorativa “alle dipendenze”- in senso lato delle Pubbliche Amministrazioni – dai condizionamenti che potrebbero derivare dall’ esercizio di altre attività. Nel caso di specie, la Corte di Cassazione (n.30518/2022), dopo aver richiamato il quadro normativo della società in accomandita semplice, ha evidenziato che i soci accomandatari rivestono la qualifica di imprenditori, cui spetta in via esclusiva l’amministrazione e la gestione della società e che sono soggetti ad una responsabilità illimitata e solidale per l’adempimento delle obbligazioni sociali. Per queste ragioni è stato confermato il danno erariale.

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