Una volta stipulato il contratto, l’ente non è abilitato alla sua rescissione adducendo motivi di pubblico interesse, né è possibile evitare la responsabilità sostenendo la mancanza della forma scritta ad subtantiam in caso di contratto di tipo commerciale. Con queste motivazioni la Corte dei conti della Lombardia (sentenza n.212/2022) ha condannato il Sindaco, la Giunta comunale e il Segretario comunale al danno erariale per rescissione illegittima.
La vicenda
Un Comune procedeva alla locazione del misuratore di velocità da istallare sull’autovettura di servizio della polizia stradale, perché fosse di ausilio al servizio di rilevazione della velocità veicolare, funzionale alla migliore contestazione delle violazioni del codice della strada, stabilendo la durata del contratto in un anno, da intendersi rinnovato, laddove non fosse intervenuta disdetta del contratto entro 150 giorni antecedenti alla sua scadenza. In ragione della mancanza di personale della Polizia Locale, l’ente procedeva alla rescissione del contratto per motivi di pubblico interesse in assenza, tuttavia, del rispetto dei termini contrattuali. A seguito della sentenza di condanna del giudice di primo grado, l’ente procedeva al riconoscimento del debito fuori bilancio, attivando nel contempo il ricorso di merito. In considerazione di questioni di rito, la Corte di appello giudicava inammissibile il ricorso, con medesima sorte la questione giungeva alle Sezioni Unite della Cassazione che davano torto all’ente locale. Ormai chiusa la questione degli importi da regolare, l’ente attivava una transazione con il fornitore, ottenendo una riduzione dell’importo originario. A fronte di tale transazione, l’ente procedeva alla revoca della delibera di Consiglio comunale di riconoscimento del debito a fronte della transazione ottenuta.
La Procura contabile attivava, quindi, su quest’ultima deliberazione di revoca del debito fuori bilancio, ritenendo la transazione in ogni caso fonte di responsabilità erariale.
A propria difesa i convenuti eccepivano la nullità della deliberazione originaria del debito fuori bilancio, per mancanza della forma scritta richiesta ad substantiam dal legislatore e, di conseguenza, la nullità del contratto stipulato e che, solo per ragioni processuali e non di merito, aveva visto soccombente l’ente a fronte di un credito insussistente.
La decisione è giunta davanti al Collegio contabile che ha ritenuto la difesa dei convenuti inconsistente, in quanto nel caso di specie la forma scritta richiesta dalla normativa era soddisfatta dalle lettere commerciali di accettazione della prestazione proposta al fornitore.
La questione della forma scritta
In via preliminare è stato rilevato come il danno erariale sia scaturito da un’incauta e colpevole rescissione del contratto, in considerazione dell’ambito privatistico di quest’ultimo e della conseguente inconsistenza dei motivi di pubblico interesse sopraggiunti, ossia perché la carenza di personale del Servizio di Polizia Municipale non permetteva la corretta contestazione delle sanzioni per violazione del codice della strada.
L’altra questione più rilevante è quella di stabilire se tale contrato fosse valido o nullo a fronte della mancanza della forma scritta richiesta dal legislatore, in mancanza della quale il contratto sarebbe stato sin dall’origine nullo, con conseguente errata sentenza emessa dal giudice di primo grado.
Nel caso di specie, tuttavia, il Tribunale ha avuto modo di condannare l’ente locale in quanto “l’atto formale con il quale il Comune ha accettato la proposta dell’attrice, dando vita ad un legittimo rapporto di noleggio le cui norme regolatrici, anche in ordine ai compensi, sono espressamente indicate nella delibera stessa”. Inoltre, nessun dubbio sul fatto che il contratto abbia anche avuto regolare esecuzione.
Il Collegio contabile, quindi, confuta la tesi dei convenuti circa un orientamento univoco della giurisprudenza di legittimità in merito alla nullità in caso di assenza della forma scritta, secondo cui “i contratti conclusi dalla P.A. richiedono, al fine di soddisfare il requisito della forma scritta “ad substantiam”, la contestualità delle manifestazioni di volontà delle parti, salva l’ipotesi eccezionale prevista dall’art. 17 del r.d. n. 2440 del 1923 per i contratti stipulati con ditte commerciali. La proposta e l’accettazione possono, comunque, essere contenute in documenti distinti, purché siano poi consacrate in un unico documento” (Cass., sez. III, 20/03/2020, n. 7478).
Il Collegio contabile, ha rilevato come esistesse, anche all’epoca dei fatti, un consistente filone di decisioni del giudice di legittimità, anche assai risalente nel tempo, secondo cui, per il rispetto della forma scritta nei contratti con la P.A., sarebbe stata sufficiente, come nel caso di specie, la formazione del consenso mediante lo scambio di dichiarazioni scritte, formate unilateralmente e separatamente, tra l’amministrazione e il privato, come nel cd. “contratto tra assenti” (Cass., SS.UU., 29 maggio 1967, n. 1169).
Il contrasto giurisprudenziale è stato risolto dalla recentissima Cass. SS.UU. n. 9775 del 25.03.2022: la Suprema Corte ha ritenuto che l’art. 17 del r.d. n. 2440 del 1923 non postuli in modo indefettibile che la stipulazione del contratto tra amministrazione e privato debba realizzarsi tramite un unico documento sottoscritto dalle parti e, anzi, contempla ulteriori ipotesi rispetto alle quali la valida formazione del vincolo contrattuale si viene a determinare anche in base alla dichiarazione scritta del privato, manifestata separatamente e unilateralmente, di adesione alla volontà, precedentemente manifestata anche nelle forme di un atto amministrativo, dall’Amministrazione. In altri termini, la norma solenne può dirsi rispettata non solo quando il privato abbia accettato per iscritto la volontà dell’amministrazione espressa in precedenza attraverso l’attività provvedimentale, ma anche nell’ipotesi inversa, in cui il privato formuli la proposta in seno ad una domanda tesa ad ottenere un provvedimento amministrativo, cui fa seguito l’accettazione dell’amministrazione attraverso il rilascio del medesimo atto invocato.
La tesi dei convenuti, in conclusione, deve essere disattesa poiché trattandosi di accordo tra Pubblica Amministrazione e “ditta commerciale” (tale era il contratto con la società), la redazione di un unico documento sottoscritto da entrambe le parti neppure era necessaria, rientrando la fattispecie nell’ipotesi eccezionale prevista dall’art. 17 comma 5 R.D. n. 2440 del 1923.
Il danno erariale è stato, pertanto, confermato e respinta la richiesta del Segretario comunale di riduzione del danno per il ruolo svolto non decisorio, giacché la sua responsabilità è paritaria a quella del Sindaco e della Giunta comunale per aver taciuto, in ragione del suo ruolo, l’evidente compressione dei diritti della parte privata che si andava realizzando, sulla prevedibile reazione di questa in sede giudiziale e sui rischi che il Comune si assumeva con la revoca della precedente delibera.
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