Divieto di soccorso finanziario e debiti fuori bilancio della società in liquidazione (prima parte)

27 Maggio 2024
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Il divieto di soccorso finanziario nei confronti della società partecipata può subire ristrette deroghe per la preminenza dell’interesse pubblico, con motivazione rafforzata da parte dell’ente locale. Altra questione riguarda la possibilità che detto soccorso finanziario possa avvenire mediante riconoscimento di un debito fuori bilancio, in caso di continuazione del servizio della società partecipata nonostante il suo stato di liquidazione, dove l’ente deve prestare particolare attenzione sulle eventuali responsabilità ad esso connesse. Sono queste le indicazioni della Corte dei conti delle Marche, contenute nella deliberazione n. 45/2024.

La vicenda

Un ente locale a fronte della situazione di criticità finanziaria della società interamente partecipata, cui era stato conferito il compito della definizione del finanziamento discendente da un patto territoriale, ha messo in stato di liquidazione la società. Tuttavia, nonostante il suo stato di liquidazione e in assenza di un contratto di servizio che ne conferisse ancora la titolarità delle azioni da svolgere, la società ha continuato ad operare con possibile emersione di un debito fuori bilancio da riconoscere. L’ente locale, pertanto, ha chiesto ai magistrati contabili se fosse possibile il riconoscimento delle attività svolte e se le stesse, visto lo stato di liquidazione della società, potessero essere annoverate dal divieto di soccorsi finanziario e se, in caso positivo di pagamento dei servizi espletati anche in assenza del contratto di servizio, il Consiglio potesse a tal fine riconoscere il debito fuori bilancio senza incorrere in eventuali responsabilità erariali.

Le eccezioni al divieto di soccorso finanziario

A dire del Collegio contabile il divieto di soccorso finanziario opera anche per le società poste in liquidazione le quali, secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza contabile, proprio perché rimangono in vita senza la possibilità di intraprendere nuove operazioni rientranti nell’oggetto sociale, ma al solo fine di risolvere i rapporti finanziari e patrimoniali pendenti, compresi quelli relativi alla ripartizione proporzionale tra i soci dell’eventuale patrimonio netto risultante all’esito della procedura, non possono, per definizione, prospettare alcuna possibilità di recupero o risanamento.

E’ stato anche evidenziato, sempre dalla giurisprudenza contabile, come in merito al divieto di soccorso finanziario resta intatta la possibilità, da parte dell’ente locale, i intraprendere ogni iniziativa che possa condurre ad una rapida conclusione della procedura di liquidazione, affermando che ”la particolare fase della vita sociale che la liquidazione rappresenta implica che ogni eventuale apporto finanziario del socio sia, di regola, inammissibile in quanto la liquidazione è appunto indirizzata al solo e circoscritto fine di consentire il fisiologico espletamento della fase di chiusura e di risolvere i rapporti finanziari e patrimoniali pendenti, mentre ogni eventuale esborso finanziario del socio pubblico in favore della società verrebbe piuttosto a tradursi, sul piano sostanziale, in un accollo di passività societarie, con rinuncia implicita al beneficio della ordinaria limitazione di responsabilità connessa alla separazione patrimoniale” (Deliberazione n.157/2023 Sezione di controllo della Corte dei conti delle Marche). Sempre altra giurisprudenza contabile ha anche avuto modo di precisare che “anche a prescindere dalla aprioristica esclusione in astratto, quale ben potrebbe scaturire da una lettura rigorosa dei requisiti degli interventi in deroga ivi contemplati, appare affidata unicamente alla sussistenza in concreto di un fondamento motivazionale particolarmente solido ed idoneo a dimostrare in modo obiettivo la necessità dell’operazione per il miglior conseguimento di interessi pubblici alternativi rispetto a quelli della continuità aziendale, nonché la relativa convenienza economica rispetto alla fruizione del beneficio della responsabilità patrimoniale limitata. Si tratta di una dimostrazione che, pur non impossibile, è stata riconosciuta come valida in sede di controllo, ai fini di garantire la legittimità dei disposti finanziamenti di sostegno, in casi del tutto specifici richiamati in molti dei precedenti citati (ad esempio, se trattasi di finanziamenti finalizzati al necessario recupero al patrimonio comunale di beni societari indispensabili per la prosecuzione dell’erogazione di servizi pubblici fondamentali, o nel caso di pregresso rilascio di garanzia dell’Ente per l’adempimento delle obbligazioni della società)” (Sezione del Lazio deliberazione n.66/2018).

Infine, stato ribadito che “in termini generali, un intervento del Comune volto ad assumere debiti della partecipata in liquidazione dovrà essere supportato da una congrua e analitica motivazione in ordine alle sottostanti ragioni di razionalità, convenienza economica e sostenibilità finanziaria che lo possano eventualmente ed esaustivamente giustificare. Si tratta, all’evidenza, di una scelta di esclusiva competenza del Comune, da esercitare alla stregua dei parametri emarginati nella giurisprudenza del giudice contabile” (Sezione regionale di controllo per la Puglia, deliberazione n. 47/2019).

In conclusione, nel caso di specie, spetterà all’ente locale dimostrare che tale attività svolta (negli anni) sia il miglior conseguimento di interessi pubblici alternativi rispetto a quelli della continuità aziendale, nonché la relativa convenienza economica rispetto alla fruizione del beneficio della responsabilità patrimoniale limitata. Onere cui l’amministrazione è tenuta in termini rigorosi e puntuali.

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