Donazioni in denaro da parte dei Comuni

8 Novembre 2016
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Il Servizio Affari Istituzionali e Locali, Polizia Locale e Sicurezza del Sistema delle autonomie locali della Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia risponde alla seguente domanda posta da un Comune.

L’Associazione Intercomunale chiede di conoscere se un Comune possa utilizzare propri fondi di bilancio per effettuare una donazione in denaro verso il Fondo fuori bilancio gestito dalla Protezione civile regionale per l’emergenza terremoto del Centro Italia, considerato che la Corte dei conti – Sez. giurisdizionale regionale per il Friuli Venezia Giulia[1] afferma (trattando, però, una fattispecie del tutto diversa da quella oggetto di quesito[2]) che «la beneficienza si fa con il denaro proprio e non con il denaro pubblico».

Sentito il Servizio finanza locale di questa Direzione centrale, si formulano le seguenti considerazioni.

Occorre, anzitutto, ricordare che l’attività di consulenza giuridico-amministrativa alla quale è preposto questo Ufficio è finalizzata a fornire un’illustrazione degli istituti giuridici nell’ambito dei quali sono riconducibili le specifiche fattispecie prospettate, fermo restando che compete all’amministrazione procedente determinarsi in ordine alle scelte concrete da adottare caso per caso.

Un tanto premesso, si segnala che la Corte dei conti – Sez. regionale di controllo per la Campania[3] rileva che, dalla consolidata e risalente giurisprudenza della Corte di cassazione in materia di ‘donazione’ da parte di enti pubblici, si ricava un principio fondamentale: pur non esistendo un divieto o una norma che preveda l’incapacità a donare da parte degli enti pubblici, la donazione, in ogni caso, non può integrare una mera ‘liberalità’.

Considerato che la Corte di cassazione afferma che gli enti pubblici, per i loro fini istituzionali, sono incapaci di porre in essere atti di donazione e di liberalità che non costituiscono mezzi per l’attuazione di detti fini, il giudice contabile osserva che la liberalità, anche quando teoricamente ammessa, lo è «soltanto in funzione dell’interesse pubblico con essa perseguito».

Detto altrimenti – prosegue la Corte dei conti – «la causa liberale, funzione per la quale un soggetto dell’ordinamento arricchisce in modo unilaterale e spontaneo un altro soggetto, si presume incompatibile con la capacità giuridica riconosciuta agli enti pubblici, in particolare agli enti locali, salvo vi sia un’espressa autorizzazione di legge o una chiara compatibilità con gli scopi istituzionali».

La Corte dei conti rileva, conseguentemente, che la capacità giuridica degli enti pubblici va «ritagliata sugli scopi e sui limiti che la legge stabilisce in relazione alla loro esistenza e al loro agire», pena l’integrazione di abusi ed elusione di limiti di legge, comportanti ricadute sia sul piano della validità degli atti, sia su quello della responsabilità dei soggetti agenti.

Quanto ai predetti scopi e limiti, essi si rinvengono nell’art. 16, comma 1, della legge regionale 9 gennaio 2006, n. 1, che (analogamente a quanto dispone l’art. 13, comma 1[4], del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267) stabilisce che «Il Comune è titolare di tutte le funzioni amministrative che riguardano i servizi alla persona, lo sviluppo economico e sociale e il governo del territorio comunale, salvo quelle attribuite espressamente dalla legge ad altri soggetti istituzionali.».

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[1] Sentenza 11 giugno 2014, n. 47.

[2] Utilizzo di fondi destinati ai gruppi consiliari del Consiglio regionale.

[3] Deliberazione 6 ottobre 2014, n. 205.

[4] «Spettano al comune tutte le funzioni amministrative che riguardano la popolazione ed il territorio comunale, precipuamente nei settori organici dei servizi alla persona e alla comunità, dell’assetto ed utilizzazione del territorio e dello sviluppo economico, salvo quanto non sia espressamente attribuito ad altri soggetti dalla legge statale o regionale, secondo le rispettive competenze.».

 

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