di Luigi Olivieri
Corte conti Emilia Romagna: non conta la forma della decisione favorevole al comune
Non occorre una sentenza per ricompensare gli avvocati
Non occorre necessariamente una sentenza per compensare i legali patrocinanti un ente locale in giudizi conclusi favorevolmente per le amministrazioni. Agli avvocati degli enti locali, quindi, spettano i compensi professionali, nel caso di pronuncia favorevole con condanna o compensazione delle spese, qualsiasi sia la forma della decisione giudiziale. Lo chiarisce la Corte dei conti, sezione regionale di controllo per l’Emilia Romagna, col parere 24.2.2022, n. 15, relativo all’esatta interpretazione dell’articolo 9 del dl 90/ 2014, convertito in legge 114/2014, il cui testo si presta a possibili letture restrittive o più estensive. La norma dispone a favore dei legali operanti nelle avvocature dipendenti dalle pubbliche amministrazioni il diritto di percepire i compensi professionali, nella misura stabilita dai regolamenti interni degli enti, in due possibili evenienza. La prima è, come la qualifica il parere della Corte dei conti, quella del cosiddetto «riscosso», cioè l’emanazione di una sentenza (o altro provvedimento) favorevole all’ente con disposizione espressa del recupero delle spese legali e trattata nel comma 3 dell’articolo 9 del d.l. 90/2014; la seconda, è l’eventualità del cosiddetto «compensato», ricorrente quando la pronuncia del giudice compensa integralmente le spese, di cui si occupa il comma 6 sempre dell’articolo 9 del dl 90/2014. La magistratura contabile si sofferma sui tre presupposti necessari a far venire in essere il diritto regolato dalla norma: a) l’esistenza di una pronuncia, nella cui parte decisoria vi sia un capo accessorio che condanni la controparte alle spese o ne disponga la compensazione; b) l’esito della lite necessariamente favorevole all’amministrazione e causalmente riconducibile all’attività del legale dell’avvocatura; c) il recupero effettivo delle spese dalla controparte che vi è tenuta, in quanto soccombente Il citato articolo 9 del d.l. 90/2014 nei commi 3, 4 e 6, trattando dei presupposti e delle condizioni per attribuire ai legali della p.a. i compensi spettanti, parla espressamente di «sentenze», anche se nel comma 6 evidenzia l’ipotesi della transazione. Il dubbio emerso in molte amministrazioni, allora, è se il legislatore condizioni il compenso esclusivamente ad una pronuncia favorevole e con indicazione della sorte delle spese in forma di sentenza, o se, al contrario, del sostantivo «sentenza» occorra darsi una lettura di carattere sostanziale, tale da permettere l’attribuzione dei compensi in ogni caso di giudizio favorevole, anche se disposto con provvedimenti non qualificati come sentenza.
La sezione Emilia Romagna non ha dubbi: ritiene che occorra preferire la «portata sostanziale del termine sentenza». Tale termine, utilizzato in via esclusiva nel comma 3 dell’articolo 9 del d.l. 90/20 ed in combinazione con la transazione nel comma 6, non va considerato come indicativo di una differenza di sostanza tra i due commi. Il discrimine tra comma 3 e 6 dell’articolo 9, secondo la Corte dei conti, non «risiede nella forma della pronuncia principale quanto, piuttosto, nel provvedimento che statuisce sulle spese e che consiste, nel primo caso, in una condanna che legittima una ripartizione del riscosso fra gli avvocati dell’ente e, nel secondo caso, in una compensazione che consente la corresponsione dei compensi ai medesimi avvocati ma nei limiti dello stanziamento previsto (dato che manca un riscosso da recuperare), il quale non può superare il corrispondente stanziamento relativo all’anno 2013». L’esito favorevole all’ente, spiega la Corte, è insito necessariamente in una pronuncia di riconoscimento delle sue ragioni e contestuale condanna della controparte alle spese di lite: e ciò «al di là che la pronuncia rivesta la forma di sentenza, ordinanza, decreto o altra statuizione il cui effetto positivo sia comunque processualmente imputabile, secondo il principio di causalità, all’attività del difensore». Sono casi che il parere elenca «a titolo esemplificativo», precisando che la spettanza dei compensi ai legali non va ricondotto “alla forma del provvedimento principale con cui si è conclusa la lite”, ma all’evidenza di un’utilità economica scaturente da una pronuncia favorevole all’ente. La pronuncia che chiude favorevolmente per gli enti una vertenza ha, conclude la Corte, i connotati della decisione giurisdizionale e l’attitudine al passaggio in giudicato indipendentemente dalle caratteristiche del provvedimento cui accede e dà vita ad un autonomo rapporto obbligatorio nascente dalla condanna alle spese, indipendentemente dalla natura della pronuncia stessa.
In collaborazione con Mimesi s.r.l.
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