di GIANNI TROVATI (Il Sole 24 Ore, 19/01/2024)
La nuova tornata di rinnovi contrattuali del pubblico impiego vale a regime 9,95 miliardi all’anno. Il calcolo ufficiale è scritto nelle tabelle della cosiddetta «direttiva madre»
La nuova tornata di rinnovi contrattuali del pubblico impiego vale a regime 9,95 miliardi all’anno. Il calcolo ufficiale è scritto nelle tabelle della cosiddetta «direttiva madre», l’atto di indirizzo generale che fa entrare nel vivo i rinnovi e che Il Sole 24 Ore è in grado di anticipare.
I 9,95 miliardi di dotazione finanziaria per i contratti 2022/24 sono la somma dei finanziamenti messi in legge di bilancio per il settore statale (5,5 miliardi), la quota di fondo sanitario destinata ai rinnovi (2 miliardi) e i costi che gli enti territoriali dovranno sostenere per garantire aumenti analoghi come prevede la legge.
Le nuove cifre superano di slancio i i quasi 7 miliardi del 2019/2021 e i 5 del 2016/2018 e mettono sul piatto un aumento medio del 5,78%, due punti in più dell’ultima tornata: numeri importanti che però inevitabilmente, per la prima volta, non bastano a coprire l’inflazione del triennio di riferimento. Nel solo 2022-23 l’indice armonizzato dei prezzi al consumo segna un aumento cumulato del 15,1%. Ma far correre le retribuzioni ai ritmi dell’inflazione avrebbe richiesto oltre 30 miliardi all’anno, cifra impossibile per qualsiasi legge di bilancio.
Lo sforzo riavviato dalla manovra spinge in ogni caso il Governo a premere per proseguire sull’evoluzione del lavoro pubblico puntando sulle due leve chiave rilanciate a più riprese dal ministro per la Pa Zangrillo: la formazione e i premi, non solo economici, al merito, da gestire stringendo sulla valutazione.
Sulla formazione, la direttiva chiede ai contratti di garantire almeno 24 ore annue (in orario di lavoro) a ogni dipendente, con un salto imponente rispetto al quadro attuale. Per provare a tradurre questo slancio anche nella realtà attuativa dei contratti, poi, precisa che «la promozione della formazione , e in particolare la partecipazione attiva dei dipendenti, costituisce obiettivo di performance dei dirigenti». Gli strumenti a distanza saranno fondamentali, «anche ai fini del risparmio di spesa che tale modalità comporta». Lo sviluppo delle capacità digitali dovrà essere uno dei filoni centrali nei programmi, che punteranno poi sulle «competenze trasversali e manageriali, con una specifica attenzione alle attività formative che intendono implementare un adeguato esercizio della leadership da parte dei dirigenti».
Queste capacità serviranno del resto parecchio al nuovo tentativo di differenziare in modo sostanziale i premi ai dipendenti. I nuovi contratti dovranno prevedere «un cospicuo finanziamento degli istituti collegati alla produttività». Ma la valutazione, oltre a incidere sulle buste paga, dovrà guidare «l’attribuzione di specifici incarichi» ai dipendenti e il riconoscimento di funzioni come quello di «formatori interni» o di tutor dei neoassunti.
Su questi aspetti, come sullo sviluppo delle «famiglie professionali» per superare la rigidità delle mansioni, sul «mentoring» per facilitare l’avvio di carriera dei nuovi ingressi e sul welfare contrattuale, la direttiva non trova una Pa all’anno zero, ma chiede nei fatti di far crescere gli elementi innovativi seminati dai contratti 2019/2021, che hanno anche rivisitato a fondo gli ordinamenti contrattuali di cui ora si richiede solo una manutenzione. Ma lo fa con un linguaggio particolarmente chiaro quando sostiene per esempio che l’appiattimento delle busta paga «trasforma il premio in un fattore che non è in grado di motivare i dipendenti», e arriva a renderlo «causa di malcontento e insoddisfazione qualora non erogato nella modalità e nella misura attesa» in virtù di solide abitudini. Concetti indiscutibili, ma complicati da tradurre in pratica soprattutto ora che l’inflazione morde.
In collaborazione con Mimesi s.r.l.
* Articolo integrale pubblicato su Ilsole24ore del 19/01/2023
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