La corretta ricostruzione della normativa sui compensi degli amministratori è stata effettuata dalla Corte dei conti, Sezione di controllo per la Regione Sardegna, con la deliberazione 24 maggio 2018 n.20.
Le indicazioni dei giudici contabili
Secondo il Collegio contabile, la disciplina dei vincoli finanziari agli emolumenti degli amministratori di società partecipate da enti locali, è stata oggetto di plurimi interventi interpretativi da parte delle Sezioni regionali di controllo della Corte dei conti, anche sotto il profilo dei rapporti fra le limitazioni poste dalla legge finanziaria per il 2007 (riferite specificatamente alle sole società partecipate da enti locali) e quelli introdotti dall’art. 4 del decreto-legge n. 95 del 2012 (riferiti a tutte le società partecipate da enti pubblici).
Secondo i giudici contabili liguri (deliberazione n.90/2016) l’art. 16, comma 1, del decreto-legge n. 90 del 2014, che ha modificato i commi 4 e 5 dell’art. 4 del decreto-legge n. 95 del 2012, prevede che a decorrere dal 1° gennaio 2015, il costo annuale sostenuto per i compensi degli amministratori delle società partecipate, direttamente o indirettamente, da pubbliche amministrazioni (sia quelle gerenti servizi strumentali per almeno il 90% del fatturato che le altre), ivi compresa la remunerazione di quelli investiti di particolari cariche, non può superare l’80 per cento di quello complessivamente sostenuto nell’anno 2013.
Nel caso di amministratori di società partecipate da enti locali, il compenso massimo erogabile al singolo amministratore doveva rispettare, altresì, quanto prescritto, in precedenza, dall’art. 1, comma 725, della legge n. 296 del 2006, secondo cui nelle società a totale partecipazione di comuni e province, il compenso lordo annuale, onnicomprensivo, attribuito al presidente ed ai componenti del consiglio di amministrazione, non può essere superiore, per il presidente, al 70 per cento e, per i componenti, al 60 per cento delle indennità spettanti, rispettivamente, al sindaco ed al presidente della provincia.
Inoltre, una eventuale indennità di risultato poteva essere corrisposta solo nel caso di produzione di utili ed in misura comunque non superiore al doppio dell’indicato compenso onnicomprensivo.
Tali limitazioni sempre secondo i giudici contabili operavano anche in presenza di un amministratore unico, come nel caso prospettato dal comune. Inoltre, i due vincoli trovano concorrente applicazione nel caso degli organi di amministrazione, monocratici o collegiali, delle società partecipate da enti locali.
L’art. 4 del citato decreto-legge n. 95 del 2012, consentendo ancora la facoltà di nomina di un amministratore unico ha inteso accordare all’ente socio la possibilità di operare una scelta alternativa (meno dispendiosa) rispetto al numero massimo di amministratori nominabili, tuttavia, non ne consegue che dal 1° gennaio 2015, il costo sostenuto dall’ente per l’amministratore unico possa superare l’80 per cento di quello complessivamente sostenuto, per il medesimo organo di amministrazione (collegiale o monocratico), nell’anno 2013.
Precisati i limiti di retribuzione del o degli amministratori, in merito alla retribuzione di risultato, la stessa potrà essere legittimamente erogata sempre che si dimostri l’effettiva produzione di utili e fino ad un massimo del doppio del compenso annuale, contenendo l’onere complessivo a carico della società controllata nel limite dell’80 per cento di quello sostenuto nell’anno 2013.
Va, altresì precisato, come il d.lgs. 175/2016 prevede che, con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, sentita la Conferenza unificata, previo parere delle Commissioni parlamentari competenti, siano definiti, per tutte le società a controllo pubblico, indicatori dimensionali, quantitativi e qualitativi, al fine di individuare fino a cinque fasce di classificazione. Per ciascuna fascia il predetto decreto ministeriale dovrà determinare, in proporzione, il limite dei compensi massimi al quale gli organi delle società devono fare riferimento per la determinazione del trattamento economico annuo onnicomprensivo da corrispondere “agli amministratori, ai titolari e componenti degli organi di controllo, ai dirigenti e ai dipendenti”. Tali emolumenti non potranno, comunque, eccedere il limite massimo di euro 240.000 annui, al lordo dei contributi previdenziali e assistenziali e degli oneri fiscali a carico del beneficiari. Pertanto, per gli amministratori delle società partecipate dagli enti locali (come da altre pubbliche amministrazioni) rimane in vita, in attesa dell’emanazione del citato decreto ministeriale previsto dall’art. 11, comma 6, del d.lgs. n. 175 del 2016, il limite finanziario costituito dal costo sostenuto per compensi all’organo di amministrazione nel 2013.
Nel caso in cui nell’anno 2013 non fosse stata sostenuta alcuna spesa, si dovrà fare riferimento, a ritroso, dell’onere sostenuto nell’ultimo esercizio nel quale risulti presente un esborso a tale titolo, tenuto pur sempre conto del limite massimo dei 240.000 euro. In ogni caso, rimane il criterio fondamentale di utilità e ragionevolezza che deve guidare ogni spesa pubblica dal quale non può esimersi la determinazione del compenso degli amministratori di una società in mano pubblica. Infine, avuto riguardo alla retribuzione di risultato, il comma 6, art. 11 del D.Lgs. 175/2016, che nel prevedere i criteri cui deve conformarsi l’emanando decreto per la determinazione della parte variabile della remunerazione prevede che la stessa dovrà essere “commisurata ai risultati di bilancio raggiunti dalla società nel corso dell’esercizio precedente”.
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