1) non riconducibili ad alcuna delle categorie previste dall’art. 4, commi 1, 2 e 3, del TUSP. Si tratta del requisito della stretta inerenza della partecipazione societaria alla missione istituzionale dell’ente pubblico socio (quale definita dalla legge o da atti di normazione secondaria da quest’ultima richiamati, in aderenza alla riserva relativa di cui all’art. 97, commi secondo e terzo, della Costituzione) e della riconduzione dell’oggetto sociale ad una delle tipologie elencate ai commi 2 e 3 (e successivi) del citato art. 4;
2) che non soddisfano i requisiti di cui all’art. 5, commi 1 e 2, prescriventi gli specifici
obblighi motivazionali che deve contenere il provvedimento di costituzione o acquisto di una partecipazione societaria;
3) che ricadono in una delle ipotesi di cui all’art. 20, comma 2, disposizione in virtù della quale occorre valutare, oltre alle partecipazioni societarie che non rientrino in alcuna delle categorie elencate dall’art. 4 (lett. a), le società che risultino prive di dipendenti o abbiano un numero di amministratori superiore (lett. b), che svolgono attività analoghe o similari a quelle svolte da altre società partecipate o da enti pubblici strumentali (lett. c), che, nel triennio precedente, abbiano conseguito un fatturato medio non superiore a un milione di euro (lett. d), interinalmente ridotto, fino a tutto il triennio 2017-2020, a 500 mila euro (cfr. art. 26, comma 12-quinquies), che abbiano prodotto un risultato negativo per quattro dei cinque esercizi precedenti (lett. e), sempre che si tratti di società diverse da quelle costituite per la gestione di un servizio d’interesse generale), che necessitino di contenimento dei costi di funzionamento (lett. f) o di aggregazione (lett. g).
Circa la portata precettiva degli esposti parametri, come ricordato recentemente dalla Corte dei conti, sez. reg. di contr. Liguria, nella delib. n. 69/2023/VSG, depositata lo scorso 31 maggio, la ricorrenza di uno di essi non obbliga, necessariamente, l’amministrazione pubblica socia all’adozione di provvedimenti di alienazione o scioglimento, ma impone l’esplicitazione formale di azioni di razionalizzazione anche differenti, soggette a verifica entro l’anno successivo (cfr. art. 20, comma 4, TUSP) ovvero di mantenimento. Gli esposti parametri legislativi obbligano, infatti, l’ente pubblico (“I piani di razionalizzazione… sono adottati ove…”) alla necessaria adozione di un programma di razionalizzazione, il cui contenuto può consistere, come esplicitato dal precedente comma 1 del medesimo articolo, in un “piano di riassetto per la loro razionalizzazione, fusione o soppressione, anche mediante messa in liquidazione o cessione”.
Di conseguenza, la ricorrenza dei parametri elencati nell’art. 20, comma 2, impone, in rapporto alla concreta situazione in cui versa l’ente pubblico socio (nonché delle relazioni intercorrenti con la società e con gli altri soci, pubblici o privati), l’adozione alternativa di provvedimenti di fusione (coerenti, per esempio, al caso in cui siano rilevate, ai sensi delle lett. c) e g), “partecipazioni in società che svolgono attività analoghe o similari a quelle svolte da altre società partecipate o da enti pubblici strumentali”), soppressione (necessari e coerenti al difetto di inclusione, ai sensi della lett. a), nel novero delle attività legittimamente espletabili da società pubbliche), liquidazione o cessione (in caso di partecipazioni non strettamente inerenti alle finalità istituzionali dell’ente o di impraticabilità, in presenza di uno o più parametri, di altre misure), differente “razionalizzazione” (come potrebbe accadere nel caso in cui ricorrano uno o più parametri indicati alle lett. b, d, e ed f), di motivato mantenimento (in termini, per esempio, sez. reg. contr. Marche, delib. n. 21/2018/PAR; sez. reg. contr. Lombardia, delib. n. 348/2017/PAR).
La ridetta interpretazione trova conforto nel modello standard di redazione dei piani di revisione approvati dalla Sezione delle Autonomie della Corte dei conti: nell’occasione (delib. n. 22/2018/INPR) sono state affermate, da un lato, l’obbligatorietà della ricognizione; dall’altro, “la necessità di motivazione da parte degli enti in ordine alle misure adottate, che restano affidate alla loro responsabilità nella qualità di soci”, sottolineando, altresì, come tale processo richiede una “riflessione costante degli enti in ordine alle decisioni di volta in volta adottate (mantenimento, con o senza interventi; cessione di quote/fusione/dismissione)”.
Anche nella delibera n. 29/2019/FRG, con cui è stato approvato apposito referto sulle società partecipate dagli enti territoriali e sanitari, la medesima Sezione delle Autonomie, facendo seguito a quanto esposto in precedenza (cfr. deliberazioni n. 27/2017/FRG e n. 23/2018/FRG), ha sottolineato che, mentre la ricognizione annuale, incentrata sulla valutazione della ricorrenza dei parametri elencati nell’art. 20 TUSP, costituisce adempimento obbligatorio, gli esiti “sono rimessi alla discrezionalità delle amministrazioni partecipanti, le quali sono tenute a motivare espressamente sulla scelta effettuata che può consistere sia nel mantenimento della partecipazione senza interventi sia in una misura di razionalizzazione”. Nel medesimo referto è valorizzata, ancora una volta, la centralità della motivazione, necessaria per giustificare sia la scelta di dismettere che quella di mantenere la società, entrambe soggette, in vari momenti, a forme di controllo giurisdizionale.
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