Il fatto
La Procura contabile ha convenuto in giudizio per asserito danno erariale, il responsabile del servizio e il Sindaco, per avere prorogato, dopo un primo conferimento in via diretta tramite il Mercato elettronico della Pubblica Amministrazione (MEPA), per diversi anni il servizio di manutenzione e assistenza del software dell’ente, stimando il danno erariale pari al 20% dell’importo prorogato per violazione della normativa sulla concorrenza. In sede di difesa sia il responsabile del servizio sia il Sindaco hanno controdedotto sulla necessità della proroga in ragione delle difficoltà del cambio di un operatore economico in grado di fornire continuità ai servizi resi alla cittadinanza, anche in ragione delle modifiche informatiche introdotte dalla legislazione sulla transizione digitale, oltre al periodo di crisi pandemica da Covid-19. In ogni caso, a dire della difesa, la proroga dei contratti di manutenzione e assistenza è nella natura stessa del bene strumentale software e dei tempi di avvio di un progetto informatico e organizzativo prodromico a qualsivoglia implementazione digitale. D’altra parte, cambiamento del software gestionale ha un impatto importante su tutta l’operatività dell’ente pubblico e, prima di indire una gara, si pone il problema delle modalità operative di funzionamento e della necessità di non paralizzare l’attività amministrativa nel tempo necessario alla acquisizione, da parte degli operatori, delle nuove competenze per la conoscenza e utilizzo del sistema. In ogni caso, il danno erariale per violazione delle disposizioni sulla concorrenza non può essere considerato in re ipsa ma deve essere provato dalla Procura, onere che nella fattispecie non è stato affatto assolto. Inoltre, l’amministrazione avrebbe agito nell’interesse della collettività di riferimento, evitando qualsiasi nocumento all’utenza ed anzi mantenendo costantemente operativo il software.
L’assoluzione dal danno erariale
Per il Collegio contabile ha errato la Procura a ritenere provato il danno erariale, per violazione delle regole della concorrenza, sulla base di un semplice moltiplicazione dell’importo corrisposto nelle proroghe con il 20% che avrebbe l’ente risparmiato in caso di gara pubblica, non fornendo pertanto adeguata evidenzia della perdita economica subita dall’ente. Infatti, in giurisprudenza si è stabilito che, pur potendo la richiesta dimostrazione del danno da concorrenza essere raggiunta con il ricorso a ogni idoneo mezzo di prova, quale in ipotesi la comparazione con i prezzi e i ribassi conseguiti a seguito di gare, questi devono avere ad oggetto beni dello stesso genere di quelli in contestazione e riguardare lo stesso arco temporale, requisito quest’ultimo necessario al fine di ottenere un confronto omogeneo tra procedure di acquisto e loro esiti.
In merito all’acquisto di software informatici, le linee guida n.8/2017 dell’ANAC hanno evidenziato alcuni accorgimenti che le stazioni appaltanti dovrebbero adottare per evitare di trovarsi in situazioni in cui le decisioni di acquisto in un certo momento vincolino le decisioni future (fenomeno cosiddetto del lock-in). Contro il fenomeno del lock in si è espressa anche la Comunità europea precisando come «Il lock-in si verifica quando l’amministrazione non può cambiare facilmente fornitore alla scadenza del periodo contrattuale perché non sono disponibili le informazioni essenziali sul sistema che consentirebbero a un nuovo fornitore di subentrare al precedente in modo efficiente». L’ANAC ha anche precisato che «Esempi nei quali il lock-in è l’effetto di un comportamento del consumatore/stazione appaltante sono quelli legati alla presenza di elevati costi di investimento (iniziale) non recuperabili (sunk costs), per effetto dei quali cambiare il fornitore determina la perdita degli stessi; alla presenza di lunghi e costosi processi di apprendimento (learning) per l’utilizzo ottimale di un determinato servizio o prodotto, che andrebbero persi in caso di cambio del fornitore; o alla presenza di esternalità e di economie di rete, per cui il valore del bene è legato al numero di altri utilizzatori del bene stesso (si pensi, ad esempio, ai social networks), in questo caso, se un cliente cambia singolarmente il fornitore, ne perde la sua utilità».
Nel caso di specie, pertanto, è possibile asserire che se un’amministrazione si trova in una condizione di lock – in il bene non è infungibile perché non vi sono altri operatori sul mercato in grado di fornire beni altrettanto idonei a soddisfare le sue esigenze, ma è infungibile perché tale appare all’amministrazione che avverte la gravità economica del cambio di operatore. Secondo il Consiglio di Stato (Sez. V, sent. n. 7239/2020) l’uscita dalla condizione di lock – in può avvenire solamente con una procedura aperta in cui l’amministrazione si renda disponibile alla fornitura di modelli equivalenti a quelli in uso.
Sulla base del dispiegarsi dei negativi effetti del lock in la dimostrazione dell’antieconomicità delle disposte proroghe (considerati i costi di aggiornamento dell’hardware, di realizzazione di interfaccia, di conversione e migrazione dati, di formazione dei dipendenti, senza parlare di tutti i connessi ulteriori diversi profili di carattere organizzativo, fortemente impattanti in un comune con popolazione inferiore a mille abitanti e in una situazione di carenza di personale) avrebbe necessitato di diversa ed analitica dimostrazione, in questo giudizio non offerta dalla Procura. I convenuti, pertanto, vanno mandati assolti.
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