Dalla verifica delle partecipazioni di un ente locale è emerso che le società partecipate presentavano risultati negativi. La Corte dei conti, Sezione regionali di controllo per il Vento, con la deliberazione 11 giugno 2019, n. 141 fa il punto sulla normativa e delle necessarie azioni che l’ente locale è chiamato a svolgere nei confronti delle proprie partecipate.
Le regole da rispettare
Secondo il Collegio contabile tra ente locale e società partecipata si instaura un rapporto complesso, al fine di verificare il corretto utilizzo delle risorse finanziarie, anche se la società partecipata si sia dotata di moduli privatistici. In particolare sono proprio le risorse pubbliche utilizzate che impongono obblighi e cautele inscindibilmente connessi alla natura pubblica delle risorse finanziarie impiegate e, pertanto, non vengono meno nemmeno a fronte di scelte politiche volte a porre a carico di società a partecipazione pubblica, e dunque indirettamente a carico degli enti locali che partecipano al capitale di tali società, i costi di attività e servizi che, sebbene non remunerativi per il soggetto che li svolge, si prefiggono tuttavia il perseguimento di obiettivi di promozione economica e sociale a vantaggio dell’intera collettività. Anche a fronte di enti dotati di risorse tali da poter far fronte agli oneri connessi alle perdite delle società da essi partecipate, le scelte politiche volte ad addossare tali oneri all’ente e dunque, in definitiva, alla collettività della quale detto ente è esponenziale, richiedono, a monte, approfondite valutazioni in merito alla coerenza dell’attività societaria. Ciò impone un costante e attento monitoraggio in ordine all’effettiva permanenza dei presupposti valutativi che hanno determinato la scelta partecipativa iniziale nonché da tempestivi interventi correttivi in reazione ad eventuali mutamenti che intercorrano, nel corso della vita della società, negli elementi originariamente valutati.
La necessità, di effettuare una seria indagine sui costi e ricavi e sulla stessa pertinenza dell’oggetto sociale alle finalità dell’ente, non può prescindere da un’azione preventiva di verifica e controllo da parte del Comune in merito alle attività svolte dalla società. In tale prospettiva, l’intera durata della partecipazione deve essere accompagnata dal diligente esercizio di quei compiti di vigilanza (es., sul corretto funzionamento degli organi societari, sull’adempimento degli obblighi scaturenti dalla convenzione di servizio, sul rispetto degli standard di qualità ivi previsti), d’indirizzo (es., attraverso la determinazione degli obiettivi di fondo e delle scelte strategiche) e di controllo (es., sotto l’aspetto dell’analisi economico finanziaria dei documenti di bilancio e della verifica dell’effettivo valore della partecipazione detenuta) che la natura pubblica del servizio (e delle correlate risorse) e la qualità di socio comportano.
La presenza di società in perdita
In presenza di società in perdita, soprattutto se reiterate nel tempo, impongono all’ente di valutare la permanenza di quelle condizioni di natura tecnica e/o di convenienza economica nonché di sostenibilità politico-sociale che giustificarono (o che comunque avrebbero dovuto giustificare) a monte la scelta di svolgere il servizio e di farlo attraverso moduli privatistici. A tale riguardo giova richiamare la normativa che assegna all’ente l’analisi puntuale e concreta delle attività indicate come scopi societari: il che permetterebbe di sondare l’esistenza di quel rapporto di stretta necessità richiesto dall’art. 3, co. 27, della Legge 24 dicembre 2007 n. 244, ma anche, più in generale, se le attività indicate siano riconducibili ad una categoria (funzioni, servizi, mere attività economiche, attività strumentali) che, come noto, ha ripercussioni sul piano della indispensabilità e attinenza delle funzioni all’ente locale.
L’adozione del Testo unico delle società partecipate (D.lgs. 19 agosto 2016 n. 175 come modificato ed integrato dal D.lgs. 16 giugno 2017 n. 100) guida con le proprie norma ad un obbligo di razionalizzazione nell’economia complessiva delle governance societarie da parte degli enti locali prevedendo che “La mancata adozione degli atti … da parte degli enti locali comporta la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da un minimo di euro 5.000 a un massimo di euro 500.000, salvo il danno eventualmente rilevato in sede di giudizio amministrativo contabile, comminata dalla competente sezione giurisdizionale regionale della Corte dei conti”.
Pertanto, l’utilizzo di moduli privatistici da parte di soggetti pubblici, pur vedendo subordinata la logica del profitto per il perseguimento di finalità di interesse generale, non può tuttavia prescindere da quel canone gestionale minimo imprescindibilmente e ontologicamente caratterizzante l’iniziativa privata rappresentato dall’economicità, la quale impone anzitutto che l’attività intrapresa sia atta a generare, entro un lasso di tempo ragionevole, flussi in entrata tali da coprire quelli in uscita, in modo da escludere che il soggetto possa sistematicamente operare in perdita. La realizzazione dell’equilibrio economico costituisce, infatti, garanzia della capacità di perseguire le finalità istituzionali dell’ente, sia con veste pubblica che privata, per la qual cosa detto equilibrio a valere nel tempo deve essere un obiettivo essenziale il cui mancato perseguimento condiziona la stessa funzionalità dell’ente medesimo.
La disponibilità da parte degli enti locali di risorse tali da poter far fronte agli oneri connessi alle perdite delle società da essi partecipate, non può peraltro essere richiamata quale motivo per giustificare il mancato raggiungimento di una gestione economica, efficace ed efficiente, anche in un’ottica di lungo periodo. Anzi, appare necessario evidenziare che tale possibilità di poter tendere ad un equilibrio nel lungo periodo, che poteva essere motivata dall’esigenza, come nel caso in questione, di soddisfare primari interessi dell’ente in termini di promozione economica e sociale, sembra essersi attenuata se non addirittura scomparsa a seguito dell’entrata in vigore dell’art. 6, comma 19, del citato D.L. n. 78/2010. La citata disposizione che fa venir meno la possibilità per gli enti controllanti di procedere ad una ricapitalizzazione delle proprie controllate laddove queste presentino delle perdite di esercizio negli ultimi tre anni è stata trasfusa nel richiamato Testo unico (art.14) che vieta agli enti locali di “… sottoscrivere aumenti di capitale, effettuare trasferimenti straordinari, aperture di credito, né rilasciare garanzie a favore delle società partecipate, con esclusione delle società quotate e degli istituti di credito, che abbiano registrato, per tre esercizi consecutivi, perdite di esercizio ovvero che abbiano utilizzato riserve disponibili per il ripianamento di perdite anche infrannuali”.
La ratio delle richiamate disposizioni, secondo il Collegio contabile, va individuata nella preoccupazione del legislatore nazionale di evitare la violazione del divieto di erogare aiuti di Stato conseguente alla prassi, ormai consolidata, seguita dagli enti pubblici ed in particolare dagli enti locali, di procedere a ricapitalizzazioni e ad altri trasferimenti straordinari per coprire le perdite d’esercizio delle proprie partecipate: prassi che, come noto, la Commissione europea sta cercando di contrastare anche al fine di garantire la massima operatività del principio della concorrenza nel mercato comune. La norma preclude la possibilità di intervenire sul capitale delle società che presentino una perdita strutturale reiterata, tale da minacciare la continuità aziendale e, di conseguenza, la stessa sopravvivenza di quegli organismi non in grado di tendere, se non all’utile, almeno al pareggio di bilancio.
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