Il Sindaco non può negoziare con il revisore l’equo compenso

21 Marzo 2022
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In caso di divergenza tra il compenso proposto al revisore e la richiesta del medesimo ad un equo compenso, il Sindaco non può estrometterlo per mancata accettazione, ma la decisione dovrà essere discussa dall’unico organo competente che è il Consiglio comunale. Sono queste le indicazioni del Viminale contenute nel parere del 11 marzo 2022 in risposta ai dubbi del revisore estratto ma estromesso per mancato adeguamento del compenso da lui richiesto.

La vicenda

Il Consiglio comunale procedeva alla nomina del revisore estratto indicando il medesimo un compenso del revisore uscente, pari a meno della metà di quanto stabilito dal decreto interministeriale del 21 dicembre 2018 per gli enti della fascia precedente a quella del comune procedente. Alla richiesta del revisore a tale adeguamento minimo, anche in ragione dell’atto di orientamento dell’Osservatorio della finanza locale n.1 del 13 luglio 2017, il Sindaco con risposta formale via PEC precisava l’impossibilità di accogliere la richiesta del revisore, precisando che “il Comune non ha la possibilità di sostenere per i compensi all’organo di revisione una spesa complessiva pari a più del doppio di quella attualmente sostenuta per il collegio uscente, procederemo alla nomina della riserva estratta che segue nell’ordine”.

Il revisore ha, quindi, chiesto un parere su quanto avvenuto al Ministero dell’Interno.

La risposta

Pur non essendo la risoluzione della questione di competenza del Viminale, non avendo un potere sovraordinato all’ente locale, tuttavia, è possibile formulare alcune riflessioni al caso di specie. In via principale non spetta al Sindaco, né alla Giunta comunale, ingerirsi in una competenza riservata dal legislatore al solo Consiglio comunale. Fermo restando l’istruttoria che è demandata agli uffici, al fine di formulare un’eventuale proposta negoziale, i tecnici ministeriali stigmatizzano che un’operazione di completa chiusura del sindaco in merito ai vincoli di bilancio non può costituire elemento decisorio sostitutivo della discussione consiliare, in quanto, anche alla presenza di un bilancio già approvato, il consiglio comunale potrebbe sempre decidere per una sua variazione.

In merito alla determinazione dell’equo compenso, introdotto per i forensi e poi esteso a tutti, nasce dalla necessità di garantire la qualità e l’affidabilità dei lavori richiesti al professionista (comma 3 dell’articolo 19-quaterdecies, del d.l. n.148 del 2017) dove il legislatore ha precisato che “La pubblica amministrazione, in attuazione dei principi di trasparenza e buon andamento ed efficacia delle proprie attività, garantisce il principio dell’equo compenso in relazione alle prestazioni rese dai professionisti in esecuzione d’incarichi conferiti dopo la data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto.” In tale contesto non è possibile sottacere come all’organo di revisione siano stati affidati dal legislatore compiti non meramente collaboratavi e di consulenza, bensì di controllo e vigilanza sotto il profilo tecnico-contabile sull’operato degli organi di amministrazione attiva anche tramite l’imprescindibile rapporto di collaborazione con la Corte dei conti istituendo, pertanto, uno stretto raccordo sul piano soggettivo tra i controlli interni e quelli esterni relativi alla gestione. Il problema attuale è che il legislatore non ha fissato alcun limite minimo, esponendo in questo caso il revisore a offerte di remunerazione in misura oggettivamente incongrua, rispetto alla delicatezza della funzione cui è chiamato, oltre che inadeguata a garantire gli elevati standard di diligenza e professionalità richiesti dalla complessità dell’incarico. Pur prendendo atto delle indicazioni dell’Osservatorio, che con il proprio orientamento ha cercato di colmare il vuoto di un importo minimo, tuttavia, tale orientamento non ha contenuto normativo. Restano, in ogni caso, valide le indicazioni dei giudici contabili che hanno previsto la necessità di una fissazione equa dei compensi.

SCARICA IL PARERE DEL MINISTERO DELL’INTERNO  11/3/2022

 

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I controlli interni degli Enti Locali
Quale ruolo nell’ambito del PNRR

 a cura di Marco Scognamiglio
martedì 29 marzo 2022 ore 9.00 – 13.00

 

I controlli interni delle Pubbliche Amministrazioni, oggetto di un processo di potenziamento avviato dal Decreto Legislativo n. 286 del 1999, rappresentano un fondamentale presidio per il buon andamento dell’apparato amministrativo, in quanto funzionali a disporre delle necessarie informazioni per valutare l’andamento delle gestioni e per apportare le opportune misure correttive in presenza di criticità e disfunzioni.

Per quanto riguarda gli Enti Locali il sistema delineato dal D.Lgs. n. 286/1999 è stato recepito, riconducendolo all’interno degli spazi di autonomia ad essi riconosciuto, dall’art. 147 del TUEL. Successivamente, il D.L. n. 174 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla Legge n. 213 del 2012, ha ridisegnato l’assetto delineato dal TUEL per innovare le originarie tipologie di controlli interni, rendendo più stringente il controllo di regolarità amministrativa e contabile, eliminando dall’assetto originario la valutazione della dirigenza (oggi disciplinata dal D.Lgs. n. 150 del 2009) ed introducendo nuove tipologie di controllo, segnatamente sugli equilibri finanziari, sugli organismi partecipati e sulla qualità dei servizi.

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