I consiglieri comunali sono legittimati ad agire contro l’ente al quale appartengono ogni volta che i vizi denunciati riguardino profili attinenti l’esercizio della carica di consigliere comunale e che siano direttamente impeditivi o lesivi delle loro funzioni rappresentative nel Consiglio: è quanto ribadito dal TAR Campania (Sez. I) nella sentenza 24 gennaio 2024, n. 631.
La legittimazione ad agire può essere riconosciuta al consigliere qualora i vizi dedotti attengano ad una delle seguenti ipotesi, senza che l’elenco abbia carattere esaustivo:
- erronee modalità di convocazione dell’organo consiliare;
- violazione dell’ordine del giorno;
- inosservanza del deposito della documentazione necessaria per poter liberamente e consapevolmente deliberare;
- più in generale, preclusione in tutto o in parte dell’esercizio delle funzioni relative all’incarico rivestito.
Sul punto, secondo consolidata giurisprudenza, tutte le volte in cui il consigliere comunale biasimi situazioni che producano violazioni delle norme sul procedimento e sui termini, tali da ostacolare o addirittura impedire il normale svolgimento delle funzioni sue proprie è legittimato a reagire in sede giurisdizionale contro l’ente di appartenenza, in quanto ciò che viene leso è l’esercizio del suo ufficio rappresentativo pubblico in favore della comunità locale di appartenenza (cfr., ex multis, Consiglio di Stato, sez. V, sent. 21 giugno 2018, n. 3814 e sent. 7 luglio 2014, n. 3446; TAR Campania, Napoli, sez. I, sent. 7 novembre 2018, n. 6473 e sent. 5 giugno 2018, n. 3710; Salerno, sez. II, sent. 4 febbraio 2015, n. 230; TAR Sardegna, sez. II, sent. 2 maggio 2016, n. 387; TAR Puglia, Lecce, sez. II, sent. 28 novembre 2013, n. 2389; TAR Lombardia, Milano, sez. II, sent. 1° luglio 2013, n. 683).
Nel caso specifico affrontato, i giudici partenopei hanno ribadito che il mancato rispetto del termine sancito dalla disciplina legislativa e regolamentare per la messa a disposizione dei consiglieri comunali della proposta, dello schema di rendiconto finanziario approvato dalla Giunta e dei relativi allegati, integra uno specifico profilo di illegittimità e determina la lesione del cd. ius ad officium.
Sul punto, giova ricordare che l’art. 227, comma 2, TUEL (Decreto Legislativo n. 267/2000) precisa che “La proposta è messa a disposizione dei componenti dell’organo consiliare prima dell’inizio della sessione consiliare in cui viene esaminato il rendiconto entro un termine, non inferiore a venti giorni, stabilito dal regolamento di contabilità.”. Sul carattere perentorio del termine non vi è da dubitare, atteso che la messa a disposizione dei documenti contabili è essenziale per rendere possibile un adeguato esame istruttorio prima di partecipare alla discussione ed alla decisione in Consiglio; il termine è quindi strumentale per il pieno dispiegamento delle funzioni proprie del consigliere, la cui violazione, anche minima, rappresenta un vulnus alle prerogative consigliari, impedendo una deliberazione consapevole, dovendosi escludere che si tratti di una violazione meramente procedimentale ovvero di una forma di irregolarità inidonea a determinare l’invalidità della delibera di approvazione, integrando, per contro, un vizio sostanziale che determina l’illegittimità della delibera consiliare (nel caso specifico, i documenti erano stati messi a disposizione dei consiglieri solo otto giorni prima della seduta prevista per la deliberazione).
Evidenziamo, infine, che anche la relazione del revisore al rendiconto deve essere messa a disposizione dei consiglieri entro il medesimo termine di venti giorni (sul punto, cfr. TAR Lazio, Latina, sent. 8 novembre 2019, n. 644.
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