La vicenda
Un avvocato che si era aggiudicato l’appalto per i servizi legali di un ente locale, ha reclamato la mancata corresponsione degli importi forfettari previsti dalla convenzione in caso di trattazione di cause giudiziali ulteriori rispetto a quelle previste in convenzione. A dire dei giudici civili aditi, a fronte dei molteplici incarichi di difesa giudiziale dedotti e asseritamente svolti in favore dell’Ente Comunale, risultava avere prodotto in atti unicamente il disciplinare di incarico generale concluso tra le parti e non anche le procure alle liti specificamente rilasciate alla stessa dagli organi competenti per ogni singolo giudizio di cui era stata chiesta la remunerazione. In altri termini, il disciplinare di incarico intercorso tra le parti, era da intendersi alla stregua di un mero contratto-quadro disciplinante gli aspetti generali dei successivi specifici rapporti che avrebbero potuto essere individualmente instaurati tra le parti attraverso il conferimento delle singole e specifiche procure alle liti rilasciate dal Comune in favore del ricorrente per ogni singolo giudizio riconducibile nell’oggetto e nell’ambito di operatività temporale del detto disciplinare generale di incarico. Infatti, anche in questo caso, i contratti stipulati dalla Pubblica Amministrazione richiedono la forma scritta ad substantiam, non potendo a tal fine venire in rilievo la deliberazione dell’organo collegiale dell’ente pubblico che abbia autorizzato il conferimento dell’incarico, ove tale deliberazione (costituente atto interno preparatorio del negozio) non risultava tradotta in un atto, sottoscritto da entrambi i contraenti, da cui poteva desumersi la concreta sistemazione del rapporto con le indispensabili determinazioni in ordine alle prestazioni da eseguire e al compenso da corrispondere.
Avverso la sentenza il professionista ha presentato ricorso in Cassazione, evidenziando come il giudice civile avesse rigettato la sua domanda per l’assenza di uno specifico impegno contabile, con riguardo al corrispettivo vantato di euro 150,00 per ciascuno dei (278) giudizi ulteriori ed in eccesso rispetto all’originario affidamento. In altri termini, il diritto di credito vantato dal professionista nei confronti dell’Ente resistente non sussisterebbe per la mancata analitica indicazione della copertura finanziaria della spesa. La posizione della sentenza è censurabile, a dire del professionista, in quanto la normativa sulla copertura finanziaria della spesa è quella di proteggere il bilancio e la stabilità finanziaria degli enti locali dal rischio di accumulazione di spese impreviste, non controllate o controllabili nella loro dimensione quantitativa, e non valutabili preventivamente in termini di congruità e necessità. Nel caso di specie, invece, il giudice di legittimità ha escluso, per giurisprudenza costante, le controversie giudiziali perché in relazione ad essi, da un lato, vige un sistema di tariffe professionali, che rende la controprestazione dovuta dall’Amministrazione determinabile o comunque prevedibile in rapporto al reale svolgimento dell’attività difensiva nel corso del giudizio; dall’altro, proprio la impossibilità di prevedere rigidamente, ab initio, la durata e l’articolazione complessiva delle fasi del giudizio, non può che richiedere una previsione generica e approssimativa della spesa.
L’accoglimento del ricorso
Il ricorso è stato considerato fondato. Nel caso di specie, infatti, il giudice civile adito ha concluso che mentre per tutti i giudizi oggetto dell’originario affidamento risulta esservi l’apposito impegno di spesa sul competente capitolo del bilancio comunale relativo all’esercizio finanziario allora corrente, per quanto riguarda l’ulteriore corrispettivo forfettizzato in euro 150,00 per ogni giudizio ulteriore la determina prevedeva soltanto un generico rinvio ad un futuro e specifico impegno di spesa, mai dedotto ovvero provato dalle parti, così contravvenendo alla previsione di cui all’art. 191 TUEL.
In questo ragionamento i giudici civili hanno commesso un duplice errore.
Il primo è stato quello di negare tutela al professionista fondando il proprio convincimento sulla sola circostanza che non vi fosse per i giudizi ulteriori di cui chiedeva il pagamento l’impegno contabile registrato, senza neanche verificare se il contratto di mandato fosse nullo per mancanza di forma (ossia che fosse stato rilasciato per ognuno degli ulteriori giudizi la procura, come previsto nel disciplinare), facendone poi discendere l’assenza di ogni requisito rispetto alla domanda proposta nei confronti del Comune.
Il secondo errore, in merito alla registrazione dell’impegno contabile, ha riguardato la mancata considerazione dei principi della contabilità armonizzata. Infatti, ai fini della rappresentazione contabile della copertura finanziaria di spese impegnate nel corso di un determinato anno di esercizio (c.d. bilancio di previsione), come nella specie (sulla base dell’accordo quadro), ma da imputare agli esercizi successivi, al concreto maturare della pretesa creditoria. Il nuovo principio della competenza finanziaria, infatti, prevede il criterio di imputazione agli esercizi finanziari delle obbligazioni giuridicamente perfezionate attive e passive che danno luogo ad entrate e spese, in coerenza con il principio contabile previsto nell’allegato 5/2 al d.lgs. n. 118/2011.
Il rinvio della sentenza al Tribunale
Avendo la Cassazione ritenuto fondato il motivo, l’ordinanza del Tribunale è stata cassata con rinvio della causa a diverso magistrato, che dovrà riesaminare la vicenda ed accertare se la parte ricorrente abbia fornito la prova del rilascio di specifico mandato per ciascuno degli ulteriori rispetto a quelli previsti specificamente nella convenzione, e solo a seguito della esistenza di tali requisiti, ai sensi dell’art. 191 T.U.E.L., verificare se la delibera comunale, alla luce del tenore del contratto quadro, sia priva dell’impegno contabile e della sua registrazione sul competente capitolo di bilancio relativamente agli anni in cui i singoli mandati sono stati conferiti.
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