In caso di trasferimento di dipendenti in altre amministrazioni si perdono le voci accessorie legate alla produttività

26 Giugno 2024
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In caso di trasferimento del dipendente da un’amministrazione all’altra, sia esso perché imposto dalla legge o in caso di mobilità volontaria, per il principio della salvaguardia del salario percepito, conserverà le maggiori retribuzione percepite nell’amministrazione di partenza, come assegno ad personam riassorbile. In questo assegno, tuttavia, non rientrano i compensi legali ad elementi variabili della retribuzione, ma solo quelli fissi e continuativi. Con queste indicazioni la Cassazione (ordinanza n. 14322/2024) ha riformato la sentenza della Corte di appello, in merito del “trattamento migliorativo dei servizi” degli enti pubblici non economici, in quanto assimilabile alla produttività.

Le indicazioni della Cassazione

La questione oggetto di controversia ha riguardato la determinazione del trattamento economico in godimento al momento del passaggio di alcuni dipendenti da un’amministrazione ad un’altra. L’amministrazione di ricezione dei lavoratori ha censurato le conclusioni della Corte di appello nella parte in cui ha riconosciuto ai dipendenti la voce “trattamento migliorativo servizi” qualificando la stessa come voce “fissa e continuativa” e come tale, rientrante nel calcolo dell’assegno ad personam riassorbibile con i futuri miglioramenti stipendiali dell’amministrazione di destinazione.

Secondo il giudice di legittimità, in tutte quelle fattispecie nelle quali venga in rilievo il principio della irriducibilità della retribuzione non è sufficiente per escludere l’operatività della garanzia che l’emolumento esuli dal trattamento fondamentale, essendo, invece, necessario accertare se la voce retributiva, per il dipendente che invochi il divieto di reformatio in peius, sia certa nell’an e nel quantum. In altri termini, il trattamento economico acquisito dal lavoratore deve essere determinato con il computo di tutti i compensi fissi e continuativi spettanti al prestatore di lavoro, sulla base della contrattazione collettiva, quale corrispettivo delle mansioni svolte ed attinenti, logicamente, alla professionalità tipica della qualifica rivestita.

Pertanto, concorrono a formare la base di calcolo ai fini della quantificazione dell’assegno personale le voci retributive corrisposte in misura fissa e continuativa, non già gli emolumenti variabili o provvisori sui quali, per il loro carattere di precarietà e di accidentalità, il dipendente non può riporre affidamento, o perché connessi a particolari situazioni di lavoro o in quanto derivanti dal raggiungimento di specifici obiettivi e condizionati, nell’ammontare, da stanziamenti per i quali è richiesto il previo giudizio di compatibilità con le esigenze finanziarie dell’amministrazione.

Tale caratteristica di fissità e continuità non si riscontrano nel rivendicato “trattamento migliorativo dei servizi” previsto nel contratto degli enti pubblici non economici, in quanto si tratta di voce collegata al raggiungimento di risultati collegati ad obiettivi individuali e collettivi previamente attribuiti e a particolari modalità di svolgimento della prestazione lavorativa. Essa, dunque, non possiede il carattere della certezza nell’an, potendo astrattamente anche non spettare in quanto dipendente sia dallo stanziamento del relativo fondo, sia dal raggiungimento, nella valutazione della performance, di una soglia minima al di sotto della quale non si ha diritto ad alcuna premialità.

Inoltre, non si ha neppure certezza del quantum, trattandosi di compenso variabile in quanto contrattualmente riferito all’utilizzo del Fondo unico di Amministrazione che annualmente dispone sulle risorse accessorie, dunque, non essendo la premialità predefinita e fissa nel suo effettivo ammontare.
Il ricorso dell’Amministrazione è stato, pertanto, accolto dalla Cassazione con rigetto della domanda dei dipendenti intesa ad includere nella determinazione dell’assegno ad personam la voce “trattamento migliorativo dei servizi”.

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