Incentivi tecnici dovuti in via equitativa se l’opera pubblica è priva di copertura finanziaria

11 Settembre 2023
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In assenza della copertura finanziaria dell’opera pubblica mancherebbe in radice l’importo da riferire agli incentivi tecnici, con la conseguenza che nulla sarebbe dovuto al dipendente per le attività espletate in assenza della relativa copertura finanziaria. Tuttavia, secondo la Cassazione (Ordinanza n. 25696/2023), la mancanza dell’impegno di spesa, se pure impedisce il sorgere del diritto al compenso incentivante non può incidere sul diritto del lavoratore al pagamento della retribuzione per le prestazioni aggiuntive comunque svolte anche in via equitativa, facendo riferimento al pagamento delle ore straordinarie dovute per le attività svolte.

Il fatto

Un lavoratore a tempo determinato responsabile dei servizi tecnici, in ragione del mancato pagamento dei compensi incentivanti a lui dovuti in forza delle prestazioni rese, ha adito il giudice del lavoro per il riconoscimento del suo diritto alla liquidazione dei compensi. Rispetto al Tribunale di primo grado che aveva riconosciuto il diritto pieno al pagamento dei compensi reclamati, la Corte di appello ha ridotto parte dei compensi dovuti sulle opere pubbliche prive di copertura finanziaria. Infatti, a dire dei giudici di appello, gli incentivi tecnici dovuti al dipendente fanno riferimento ad una percentuale, da definire secondo il regolamento e in sede di contrattazione, a carico degli stanziamenti previsti per la realizzazione dei singoli lavori negli stati di previsione della spesa o nei bilanci delle amministrazioni. Pertanto, la stessa connotazione normativa del compenso incentivante implica necessariamente il presupposto del finanziamento dell’opera cui si riferiscono le prestazioni professionali. Senza finanziamento dell’opera non esiste, infatti, la somma che deve essere ripartita tra i dipendenti «con le modalità ed i criteri previsti in sede di contrattazione decentrata ed assunti in un regolamento adottato dall’amministrazione».
Avverso la decisione della Corte di appello ha presentato ricorso in Cassazione il dipendente sostenendo che la mancanza dell’impegno di spesa, se pure impedisce il sorgere del diritto al compenso incentivante (perché questo è connotato come una quota parte di quell’impegno), tuttavia non può far svanire del tutto il diritto del lavoratore al pagamento della retribuzione per le prestazioni aggiuntive comunque svolte.

La riforma della sentenza

Per i giudici di legittimità è vero che le remunerazioni delle prestazioni nel pubblico impiego possono essere riconosciute solo se in linea con le previsioni ed allocazioni di spesa e che l’accordo incoerente con esse è invalido (Cass. n. 5679/2022,) e rende ripetibili eventuali pagamenti eseguiti sulla sua base (Cass. n. 14672/2022), tuttavia ciò non consente di derogare alla disciplina, in sé centrale nell’ambito del diritto del lavoro regolato su base negoziale, di cui all’art. 2126 c.c., certamente applicabile anche nel pubblico impiego (Cass. n. 18063/2023). La centralità dell’art. 2126 c.c. va posta in connessione anche con le tutele costituzionali del lavoro e della sua retribuzione (artt. 35, comma 1, e 36 Cost.), secondo un sistema che impedisce di ravvisare ostacoli rispetto al pagamento di prestazioni comunque rese con il consenso del datore di lavoro, anche pubblico, seppur poi si evidenzino contrasti con previsioni della contrattazione collettiva, delle regole autorizzatorie per esso previste o con vincoli di spesa. In altri termini, poiché i vincoli di spesa, nella citata prospettiva costituzionalmente orientata di cui si è detto, non possono essere valorizzati nel senso di escludere ogni pagamento per una prestazione che sia stata resa con il consenso di chi gerarchicamente la poteva richiedere o accettare, è compito del giudice del merito accertare e quantificare il credito retributivo sulla base di quanto sopra precisato e, dunque, in mancanza di altri riferimenti normativi, in ragione del superamento del debito orario e con riguardo alle misure unitarie orarie proprie del lavoro straordinario secondo la contrattazione collettiva del tempo; senza attribuire rilievo ai limiti orari di ricorso allo straordinario in ipotesi previsti dalla medesima contrattazione.
In conclusione, deve essere riformata la sentenza della Corte di appello per aver respinto la domanda del ricorrente nella parte in cui ha chiesto le prestazioni aggiuntive effettuate anche sulle opere pubbliche prive del relativo finanziamento.

Principio di diritto

In ragione delle prestazioni effettuate e in assenza di precedenti sulla questione, i giudici di Piazza Cavour hanno emesso il seguente principio di diritto «in tema di pubblico impiego privatizzato, l’affidamento di incarichi di progettazione, direzione lavori e simili a lavoratori dipendenti della stazione appaltante in mancanza di stanziamenti previsti per la realizzazione dell’opera cui gli incarichi si riferiscono, se pure impedisce il sorgere del diritto al compenso incentivante ai sensi dell’art. 18 della legge n. 109 del 1994 (nel testo all’epoca vigente), tuttavia non fa venire meno il diritto del lavoratore alla retribuzione aggiuntiva per lo svolgimento di attività oltre il debito orario di tali prestazioni di lavoro, corrispondente – in mancanza di altri parametri – alla misura propria del lavoro straordinario secondo la contrattazione collettiva tempo per tempo vigente, in quanto il consenso datoriale, comunque espresso, è il solo elemento che condiziona l’applicabilità dell’art. 2126 c.c., in relazione all’art. 2108 c.c.».

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