L’inclusione del fondo pluriennale vincolato tra gli aggregati utili ai fini della determinazione di un saldo finale di competenza non negativo è funzionale a rendere neutra, nella programmazione degli investimenti, la distanza temporale tra l’acquisizione delle risorse necessarie e la realizzazione dell’opera pubblica. Lo strumento in esame, infatti, è stato introdotto dall’armonizzazione dei sistemi contabili ex decreto legislativo 118/2011 per conciliare due principi generali fondamentali di tutta la riforma: dare certezza della copertura finanziaria degli investimenti prima della loro effettiva realizzazione da un lato, con l’esigenza, altrettanto fondamentale, di registrare la spesa al momento del suo perfezionamento giuridico, imputandola in relazione all’esigibilità.
Considerare il fondo pluriennale vincolato solo per il primo anno di vigenza del saldo finale di competenza rappresenta un forte limite alla programmazione degli investimenti, disattendendo in parte uno dei principali obiettivi del definitivo superamento del Patto di stabilità interno.
Il limite al solo esercizio 2016 nell’introduzione del fondo pluriennale all’interno del saldo, poi, crea non poche difficoltà nella costruzione del bilancio finanziario triennale coerente con il comma 5 dell’articolo 35 del disegno di legge. Il comma 5 impone, come per il passato, di allegare al bilancio di previsione un prospetto contenente le previsioni di competenza triennali rilevanti in sede di rendiconto ai fini della verifica del rispetto del saldo finale di competenza. L’obbligatorietà della coerenza triennale del bilancio con il nuovo vincolo di finanza pubblica, peraltro del tutto coerente sia con il disegno di legge sia con i nuovi principi contabili, rischia di limitare la portata fortemente innovativa connessa al superamento del Patto di stabilità interno.
Eliminare dal saldo finale di competenza il fondo pluriennale dal primo gennaio 2017 costringe gli enti territoriali a calibrare i tempi di realizzazione degli investimenti in relazione agli spazi che il saldo stesso “strutturalmente” registra negli anni successivi al 2016. Spazi dati dalla sommatoria del fondo crediti di dubbia esigibilità stanziato nei relativi esercizi e dei fondi spese e rischi destinati a confluire nel risultato di amministrazione, oltre ovviamente al rimborso delle quote capitale di mutui iscritte annualmente in bilancio in relazione ai piani di ammortamento. Inoltre, rischia di limitare il ricorso a nuovo debito e all’applicazione dell’avanzo di amministrazione negli esercizi successivi al 2016.
Il limite al 2016 dipende al momento dai limiti della “proroga implicita” alla legge 243/2012, che poggia su un parere espresso dalla stessa commissione Bilancio su una possibile applicazione dal 2017. Diventa quindi fondamentale completare la riforma del pareggio di bilancio all’inizio del 2016, anche alla luce del termine del 31 marzo fissato per i preventivi. Con una riforma piena, in linea con i meccanismi scritti nella legge di stabilità, si potrebbe stabilire subito l’orizzonte triennale per i bilanci locali. Lo stesso Governo, come peraltro ribadito dal sottosegretario al ministero dell’Economia Pierpaolo Baretta durante l’assemblea nazionale di Anci a Torino, ha in agenda il tema per l’inizio del 2016: i tempi sono stretti, ma il passaggio è fondamentale.
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