Incompatibile il soccorso finanziario alle società partecipate in liquidazione

16 Ottobre 2023
Modifica zoom
100%
La possibilità di poter ripianare le perdite della società a partecipazione pubblica è incompatibile in presenza di una società in liquidazione, potendosi giustificare il ripianamento delle perdite esclusivamente in una prospettiva di conservazione e risanamento dell’organismo partecipato. Con queste indicazioni la Corte dei conti della Lombardia (deliberazione n. 220/2023) ha negato all’ente locale il soccorso finanziario alla società partecipata anche in presenza di accantonamenti per perdite sufficienti nel proprio bilancio.

Il fatto

Dopo aver premesso il Sindaco di un ente locale di aver effettuato l’accantonamento al fondo perdite di una società partecipata, risorse queste, tuttavia, non sufficienti a causa di debiti superiori al valore della società (perdita da liquidazione), ha chiesto ai magistrati contabili se sia consentito, nei limiti delle disposizioni del Testo Unico delle Società Partecipate: a) Il ripiano di una perdita di esercizio mediante l’utilizzo delle somme accantonate nel bilancio del socio, anche dopo la cessazione dell’attività, ma durante la fase della liquidazione; b) Il ripiano dei debiti risultanti dalla liquidazione con somme accantonate nel fondo perdite partecipate non utilizzate per il ripiano; c) Il ripiano dei debiti risultanti dalla liquidazione mediante lo stanziamento nel bilancio del socio di ulteriori risorse in misura pari alla differenza tra il patrimonio sociale e i debiti da pagare.

La risposta

Il Collegio contabile premette come, il soccorso finanziario della società partecipata, sia consentito solo al ricorrere degli specifici presupposti individuati dal Testo Unico delle Società Pubbliche (d.lgs. 175/2016), ossia esso può giustificarsi solo in una prospettiva di conservazione e risanamento dell’organismo partecipato, dettata dal raggiungimento di un pubblico interesse, e, per le società con perdite triennali, al ricorrere degli specifici presupposti individuati dalla normativa. In merito a quest’ultima possibilità (art.14, comma 5) è, infatti, prevista “a fronte di convenzioni, contratti di servizio o di programma relativi allo svolgimento di servizi di pubblico interesse ovvero alla realizzazione di investimenti, purché le misure indicate siano contemplate in un piano di risanamento, approvato dall’Autorità di regolazione di settore ove esistente e comunicato alla Corte dei conti con le modalità di cui all’articolo 5, che contempli il raggiungimento dell’equilibrio finanziario entro tre anni”. In altri termini, deve trattarsi di trasferimenti straordinari che si giustificano alla luce delle previsioni contenute in atti convenzionali (convenzioni, contratti di servizio o di programma) sottoscritti dall’ente pubblico a fronte dell’affidamento alla società della gestione di servizi pubblici o della realizzazione di investimenti e a condizione che tali misure siano contenute in un piano di risanamento (sottoposto, a sua volta, ad uno specifico iter amministrativo) volto a raggiungere l’equilibrio finanziario entro tre anni. In merito all’interesse pubblico, la giurisprudenza contabile ha avuto modo di evidenziare come esso debba essere escluso con l’esigenza di evitare lo stato di insolvenza o con la tutela dei creditori sociali che abbiano potuto fare affidamento sulla natura pubblica delle partecipazioni societarie, ai fini del soddisfacimento dei loro crediti. Diversamente opinando, la scelta si tradurrebbe in un ingiustificato trattamento di favore verso i creditori delle società pubbliche incapienti a danno dei bilanci delle amministrazioni locali titolari, in totale distonia con le disposizioni del codice civile e con quelle che disciplinano la materia delle partecipazioni pubbliche in strutture societarie private” (Corte dei conti della Sicilia, deliberazione n.119/2019, Corte dei conti del Piemonte, deliberazione n.3/2018).

I principi contabili, inoltre, hanno previsto che se l’ente locale abbia escluso la conservazione ed il recupero dell’organismo, disponendone la liquidazione e cessazione, viene meno, altresì, l’obbligo di accantonamento al fondo.
In conclusione, qualora il risanamento e la conservazione sono stati esclusi, o per volere legislativo o per decisione dell’ente pubblico, e l’organismo sia posto in liquidazione, non solo vengono meno le disposizioni legislative sul soccorso finanziario, ma viene, altresì, meno l’obbligo per l’ente di accantonamento al fondo perdite, cessando l’attività e l’organismo stesso.

Scrivi un commento

Accedi per poter inserire un commento