La tutela del diritto di autore
In merito alla tutela del diritto di autore, il giudice di legittimità ha affermato il principio per il quale le opere creative realizzate dal lavoratore subordinato al di fuori del rapporto di lavoro sono protette in base al disposto dell’art. 1 della legge n. 633 del 1941, come modificato dall’art. 1 del d.lgs. n. 518 del 1992, sicché, in caso di lesione dell’esercizio del diritto di utilizzazione economica di tali opere, è prevista la tutela di cui all’art. 158 della stessa legge, che consente di agire per ottenere la distruzione o rimozione dello stato di fatto dal quale risulta la violazione ovvero per il risarcimento del danno, con conseguente inammissibilità dell’azione di ingiustificato arricchimento, la cui natura sussidiaria comporta che può essere esercitata soltanto quando manchi un titolo specifico sul quale possa fondarsi un diritto di credito (Cass., Sez. L, n. 8694 del 9 aprile 2018). Nel caso di specie, i programmi per elaboratore sono protetti come opere letterarie ai sensi dell’art. 1 della legge n. 633 del 1941, come modificato dall’art. 1 del d.lgs. n. 518 del 1992 e, quindi, in linea generale, la loro creazione attribuisce all’autore il diritto esclusivo di utilizzare l’opera, anche a fini economici. La legge prevede una unica eccezione allorquando attribuisce al datore di lavoro il diritto di utilizzazione esclusiva del programma o della banca dati creati dal lavoratore dipendente, a condizione che l’opera sia riferibile all’esercizio delle mansioni o sia stata creata a seguito di istruzioni impartite dallo stesso datore. Tale eccezione non avrebbe potuto essere applicata trattandosi non di un lavoratore dipendente ma di un professionista autonomo. In estrema sintesi, la legge n.633 del 1941 avrebbe potuto regolare, in astratto, il contenzioso concernente la creazione di software e il loro utilizzo economico, a condizione che fossero dimostrati dall’interessato, nel merito, gli elementi costitutivi per la sua applicabilità, in quanto la protezione del diritto d’autore riguardante programmi per elaboratori (appunto il software, che rappresenta la sostanza creativa dei programmi informatici), al pari di quella di qualsiasi altra opera, postula il requisito dell’originalità, occorrendo stabilire, pertanto, se il programma sia o meno frutto di un’elaborazione creativa originale rispetto ad opere precedenti, e fermo restando che la creatività e l’originalità sussistono anche quando l’opera de qua sia composta da idee e nozioni semplici, comprese nel patrimonio intellettuale di persone aventi esperienza nella materia propria dell’opera stessa, purché formulate ed organizzate in modo personale ed autonomo rispetto alle precedenti. Tale possibile azione, tuttavia, non conduce nel negare al ricorrente l’esperibilità dell’azione di ingiustificato arricchimento.
L’azione di ingiustificato arricchimento
Ai fini dell’esperibilità dell’azione di ingiustificato arricchimento il giudice di legittimità ha avuto modo di precisare che, presupposto per proporre l’azione di ingiustificato arricchimento è la mancanza, accertabile anche di ufficio, di un’azione tipica, tale dovendo intendersi non ogni iniziativa processuale ipoteticamente esperibile, ma esclusivamente quella derivante da un contratto o prevista dalla legge con riferimento ad una fattispecie determinata, pur se proponibile contro soggetti diversi dall’arricchito. Ne consegue che è ammissibile l’azione di arricchimento quando l’azione, teoricamente spettante all’impoverito, sia prevista da clausole generali, come quella risarcitoria per responsabilità extracontrattuale ai sensi dell’art. 2043 c.c. Nella specie, pur se regolata dalla legge n. 633 del 1941, l’azione risarcitoria della quale il ricorrente avrebbe potuto avvalersi è tipicamente riconducibile alla figura generale del risarcimento del danno. Ne deriva che l’ipotetica possibilità per il ricorrente di domandare il risarcimento del danno non avrebbe potuto escludere l’esperibilità dell’azione di arricchimento senza giusta causa. In altri termini, l’azione della quale il lavoratore avrebbe dovuto avvalersi è quella generale di adempimento ex art. 1453 c.c, ma in assenza del contratto scritto non avrebbe potuto azionarla per nullità del titolo.
Pertanto, il ricorrente non avrebbe potuto che domandare l’indennizzo per ingiustificato arricchimento, da determinare, eventualmente, in via equitativa, tenendo conto che la diminuzione patrimoniale (depauperatio) subita dall’autore di una prestazione d’opera in favore della P.A., in assenza di un contratto valido ed efficace, da compensare ai sensi dell’art. 2041 c.c., non può essere fatta coincidere con la misura del compenso che sarebbe comunemente spettato per l’attività svolta, ma, deve ricomprendere i costi ed esborsi sopportati e ristorare il sacrificio di tempo, di energie mentali e fisiche del detto autore, al netto della percentuale di guadagno.
Principio di diritto
La Cassazione nell’accoglimento del ricorso ha emanato il seguente principio di diritto:
‹‹L’ideatore di un software che abbia eseguito la sua prestazione sulla base di un contratto concluso con una P.A. nullo per mancanza della forma scritta o per violazione delle norme che regolano la procedura finalizzata alla sua conclusione, ove chieda alla stessa P.A. di essere remunerato per l’attività svolta in suo favore, può proporre l’azione di ingiustificato arricchimento. Il giudice ha il potere di determinare in via equitativa il relativo indennizzo, il quale non può coincidere con il compenso che comunemente sarebbe stato corrisposto per la detta prestazione, ma deve ristorare la diminuzione patrimoniale subita dall’autore dell’opera e, quindi, i costi ed esborsi sopportati e il sacrificio di tempo, di energie mentali e fisiche del detto autore, al netto della percentuale di guadagno››.
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