La conservazione dei residui attivi è prima di tutto un atto di discrezionalità tecnica e non amministrativa

20 Gennaio 2022
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Il processo di riaccertamento dei residui attivi, impone la verifica periodica dei requisiti che stanno a monte, ovvero la verifica concreta dei “fatti” che contraddistinguono la certezza, la liquidità e l’esigibilità dei crediti (necessari presupposti della loro conservazione in bilancio a titolo di “residui attivi”).

L’art. 228, comma 3, del Tuel, D. Lgs. 18/8/2000, n. 267 dispone che “Prima dell’inserimento nel conto del bilancio dei residui attivi e passivi l’ente locale provvede all’operazione di riaccertamento degli stessi, consistente nella revisione delle ragioni del mantenimento in tutto od in parte dei residui e della corretta imputazione in bilancio…”.

Le modalità della suddetta operazione sono indicate nell’art. 3, comma 4, del D. Lgs. 23/6/11, n. 118 e attuano il Principio della competenza finanziaria (punto 16 dei Principi generali o postulati, all. 1 al D. Lgs. 23/6/11, n. 118).

Il punto 9.1 del Principio contabile applicato concernente la contabilità finanziaria, Allegato n. 4/2 al D. Lgs. 23/6/11, n. 118, fa riferimento all’applicazione del principio della prudenza nella verifica dei residui: “In ossequio al principio contabile generale n. 9 della prudenza, tutte le amministrazioni pubbliche effettuano annualmente, e in ogni caso prima della predisposizione del rendiconto con effetti sul medesimo, una ricognizione dei residui attivi e passivi diretta a verificare:
– la fondatezza giuridica dei crediti accertati e dell’esigibilità del credito;
– l’affidabilità della scadenza dell’obbligazione prevista in occasione dell’accertamento o dell’impegno;
– il permanere delle posizioni debitorie effettive degli impegni assunti;
– la corretta classificazione e imputazione dei crediti e dei debiti in bilancio
La ricognizione annuale dei residui attivi e passivi consente di individuare formalmente:
a) i crediti di dubbia e difficile esazione;
b) i crediti riconosciuti assolutamente inesigibili;
c) i crediti riconosciuti insussistenti, per l’avvenuta legale estinzione o per indebito o erroneo accertamento del credito;
d) i debiti insussistenti o prescritti;
e) i crediti e i debiti non imputati correttamente in bilancio a seguito di errori materiali o di revisione della classificazione del bilancio, per i quali è necessario procedere ad una loro riclassificazione;
f) i crediti ed i debiti imputati all’esercizio di riferimento che non risultano di competenza finanziaria di tale esercizio, per i quali è necessario procedere alla reimputazione contabile all’esercizio in cui il credito o il debito è esigibile.”

La Corte dei Conti, Sezione regionale di Controllo per il Molise, delib. 17/8/2021, n. 73, considera che la conservazione dei residui attivi è prima di tutto una una discrezionalità tecnica e non amministrativa:

“…in materia contabile può ben accadere che, nella fase preliminare all’adozione del provvedimento, la valutazione avente ad oggetto la ricorrenza o meno dei presupposti dell’atto sia influenzata dall’opinabilità della disciplina tecnica di riferimento. In tali casi, di esercizio di cosiddetta “discrezionalità tecnica”, l’ordinamento assegna alla pubblica amministrazione uno spazio di attività discrezionale che, peraltro, ha un oggetto diverso da quello della discrezionalità amministrativa (quest’ultima si risolve, tipicamente, nella valutazione e ponderazione degli interessi coinvolti ai fini della determinazione finale).
… la scelta degli atti da adottare (o del loro contenuto) nel perseguimento di interessi pubblici è stata già esercitata a priori una volta per tutte, e in modo vincolante, dal legislatore (salvi i casi di cosiddetta “discrezionalità mista”, che nella fattispecie non rilevano). All’Ente, quindi, è rimesso il solo compito di accertare i fatti posti dalla legge a fondamento dell’azione, e tale accertamento si sostanzia anche in una valutazione da svolgere alla stregua di conoscenze (e delle connesse regole) tecniche, quali – tra le altre – quelle dell’economia o giuridico-contabili.”

Un altro chiarimento importante giunge dalla Corte dei Conti, Sezione regionale di controllo per la Lombardia, delib. n. 11/2015/PRSE:
“L’ente non può limitarsi a verificare che continui a sussistere il titolo giuridico del credito, l’esistenza del debitore e la quantificazione del credito, ma deve anche verificare l’effettiva riscuotibilità dello stesso e le ragioni per le quali non è stato riscosso in precedenza; cosicché ove risulti che il credito, di fatto, non è più esistente, esigibile o riscuotibile entro termini ragionevoli, esso deve essere stralciato dal conto dei residui e inserito nel conto del patrimonio in un’apposita voce dell’attivo patrimoniale fino al compimento del termine prescrizionale (art. 230 del Testo unico sugli enti locali, così come ripreso anche dal punto n. 55 del principio contabile n. 3), al termine del quale deve essere eliminato anche da tale conto, con contestuale riduzione del patrimonio”.

Nell’attività di riaccertamento ordinario dei residui, dovranno essere adeguatamente valutate ed espresse per iscritto le motivazioni poste a base della cancellazione ovvero della conservazione dei suddetti residui attivi e passivi ovvero alla costituzione del FCDE, ivi inclusa la dimostrazione di congruità del connesso FPV. Si veda Corte dei conti della Basilicata deliberazione n.75/2021.

Per ultimo, si fa presente che la corretta gestione dei residui attivi influisce direttamente nel calcolo del risultato di amministrazione, nel senso che il mantenimento di residui attivi non rispondenti ai criteri e alle regole vigenti, conduce alla determinazione di un avanzo di amministrazione non veritiero e sovradimensionato e può dar luogo a vari profili di responsabilità. Si veda Corte dei conti, Sezione regionale di controllo per la Liguria, delibera n. 94/2020.

 

 

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