Le legge 28/04/2014, n. 67 ha definito una modalità alternativa di definizione del processo penale, attivabile sin dalla fase delle indagini preliminari, dove è possibile pervenire ad una pronuncia di proscioglimento per estinzione del reato, quando il periodo di prova cui acceda l’indagato o imputato, si concluda con esito positivo. Mentre non vi è dubbio, nella giurisprudenza contabile, sulla colpevolezza del candidato in caso di patteggiamento di una sentenza, qualche dubbio può crearsi in caso di richiesta di ammissione da parte dell’indagato alla sospensione del procedimento penale con messa alla prova. Secondo la Corte dei conti, Sezione giurisdizionale per la regione Emilia-Romagna (sentenza n.54/2019), l’eventuale superamento del periodo di prova estingue il reato presupposto ma non comporta l’estinzione del reato che lo presuppone, con la conseguenza che la sentenza di estinzione del processo per esito positivo della prova è pur sempre un reato e come tale, se effettuato contro la pubblica amministrazione, può comportare danno all’immagine.
La vicenda
Il Presidente di una commissione di concorso è stato indagato per aver fornito al candidato, in via anticipata, tre degli argomenti della prova orale concordando tutte le domande ed abbozzando una traccia delle possibili risposte, domande che il Presidente aveva poi effettivamente presentato alla commissione da lui presieduta, che le aveva fatte proprie. Il Presidente veniva successivamente indagato dal PM per diversi reati (rivelazione e utilizzazione di segreti di ufficio, abuso d’ufficio e falso), tanto da richiedere, al Giudice delle Indagini Preliminari, la messa in prova con svolgimento di lavori di pubblica utilità per un periodo di diciotto mesi. A seguito dell’ordinanza del GIP e alla successiva relazione finale attestante l’esito positivo dei lavori di pubblica utilità svolti, il GIP pronunciava sentenza, divenuta irrevocabile, di estinzione dei reati.
La Procura contabile, acquisite le informazioni rinviava a giudizio il dirigente pubblico per danno all’immagine subìto dall’amministrazione di appartenenza, a seguito dell’eco mediatica della notizia. Il dirigente si è difeso evidenziando come la sentenza di conclusione con esito positivo di messa in prova, non possa ritenersi equiparabile a sentenza di condanna.
La conferma del danno erariale
In via preliminare, il Collegio contabile emiliano-romagnolo, ha evidenziato che ai fini della configurazione del danno erariale siano necessari due presupposti, il primo rappresentato da un reato contro la pubblica amministrazione, il secondo che il reato sia stato accertato con sentenza penale passata in giudicato. Entrambi i predetti presupposti sono da considerare sussistenti nel caso di specie. Infatti, l’ordinanza di ammissione alla messa in prova presuppone innanzitutto l’avvenuto accertamento dell’assenza di cause di proscioglimento e la richiesta può essere presentata solo dall’indagato o dall’imputato. L’estinzione del reato presupposto, inoltre, non comporta l’estinzione del reato che lo presuppone. In altri termini, l’estinzione del reato si pone come fattore esterno, e non comporta quindi il venir meno del disvalore giuridico ed etico delle condotte del dipendente infedele, cui ben può ricollegarsi un detrimento del prestigio, dell’onorabilità e della reputazione pubblica, anche astrattamente maggiore di quello conseguente a fatti sanzionati con una condanna penale. Risolti i presupposti per la configurazione del danno all’immagine, la quantificazione dello stesso è rimesso in via equitativa al Collegio contabile che, nel caso di specie, è stato attestato dalla mole e dal tenore degli articoli di stampa pubblicati atti a ledere l’immagine della PA. Questi elementi sono sufficienti al Collegio contabile per confermare il danno all’immagine, anche se con riduzione rispetto alla quantificazione operata dalla Procura.
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