La monetizzazione delle ferie secondo la magistratura contabile

6 Giugno 2024
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Le esigenze di servizio, legate a finanziamenti ricevuti, non possono giustificare un ritardo nell’attribuire le ferie al dipendente. Infatti, militano in senso contrario alla mancata concessione del riposo ai dipendenti pubblici, sia l’obbligo costituzionale di assicurare il riposo psico-fisico, sia la normativa nazionale e, soprattutto, la normativa europea, con la conseguenza che in caso di cessazione del dipendente, l’ente si vedrà costretto alla remunerazione delle ferie pregresse non fruite, esponendosi al divieto introdotto dal d.l. 95/2012. Sono queste le indicazioni della Corte dei conti per l’Abruzzo, contenute nella deliberazione n. 197/2024.

La richiesta di parere

Un Sindaco ha chiesto ai magistrati contabili la possibilità di rigettare la richiesta di un dipendente di poter fruire delle ferie, anche esponendosi alla loro monetizzazione in ragione della sua prossima data di pensionamento, trattandosi di smaltire circa 225 giorni di ferie arretrate. La questione, è stata posta, da un ente di piccole dimensioni, dove la figura oggetto della richiesta di parere riguarda una responsabile dei servizi tecnici, con l’obbligo di assicurare la continuità dei servizi e, in modo particolare, di quelli oggetto di finanziamento del PNRR e della molteplicità di incarichi di RUP da assolvere. In altri termini, vista l’urgenza di non perdere i finanziamenti del PNRR e nelle more della procedura pubblica per l’acquisizione di altro personale tecnico, è stato chiesto se sia possibile rigettare la richiesta di ferie e procedere con la loro monetizzazione.

Le indicazioni del Collegio contabile

La questione ha ad oggetto un caso particolare e specifico, dove l’ente tenta di avere un conforto da un parere della Corte dei conti, al fine di sfuggire ad eventuali responsabilità erariali nel caso di monetizzazione delle ferie residue del dipendente prossimo alla pensione. Nonostante la potenziale inammissibilità del quesito, il Collegio contabile, risponde in termini generali, lasciando all’ente la decisione di come, nella propria autonomia, intende risolvere la questione.
In merito alla tempistica di fruizione del congedo ordinario, l’articolo 9, commi 1 e 2, del d.P.R. n. 39 del 2018 ha previsto che: “1. Qualora indifferibili esigenze di servizio non abbiano reso possibile la completa fruizione del congedo ordinario nel corso dell’anno, la parte residua deve essere fruita entro i diciotto mesi successivi. Compatibilmente con le esigenze di servizio, in caso di motivate esigenze di carattere personale, il dipendente deve fruire del congedo residuo entro i diciotto mesi successivi all’anno di spettanza. 2.

Per il personale inviato in missione all’estero a far data dall’entrata in vigore del presente decreto, i termini di cui al comma 1 iniziano a decorrere dalla data di effettivo rientro nella sede di servizio”.
La Corte di Giustizia, con la sentenza 218/22 ha stabilito che:” l’articolo 7 della direttiva 2003/88 e l’articolo 31, paragrafo 2, della Carta devono essere interpretati nel senso che ostano a una normativa nazionale che, per ragioni attinenti al contenimento della spesa pubblica e alle esigenze organizzative del datore di lavoro pubblico, prevede il divieto di versare al lavoratore un’indennità finanziaria per i giorni di ferie annuali retribuite maturati sia nell’ultimo anno di impiego sia negli anni precedenti e non goduti alla data della cessazione del rapporto di lavoro, qualora egli ponga fine volontariamente a tale rapporto di lavoro e non abbia dimostrato di non aver goduto delle ferie nel corso di detto rapporto di lavoro per ragioni indipendenti dalla sua volontà”.

L’ordinanza n. 14083, pubblicata il 21 maggio 2024, la Sezione Lavoro della Corte di Cassazione ha ribadito il seguente principio di diritto: “il datore di lavoro ha l’onere di dimostrare di avere esercitato la sua capacità organizzativa in modo che il lavoratore godesse effettivamente del periodo di congedo e, quindi, di averlo inutilmente invitato a usufruirne, con espresso avviso della perdita, in caso diverso, del diritto alle dette ferie e alla indennità sostitutiva”.

Ciò evidenziato, in caso di monetizzazione delle ferie, l’ente si espone al divieto previsto dall’art.5, comma 8, del d.l. 95/2012, secondo cui: “ferie, i riposi e i permessi spettanti al personale, anche di qualifica dirigenziale, delle amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall’Istituto nazionale di statistica (Istat) ai sensi dell’art. 1, comma 2, della l. 31 dicembre 2009, n. 196, sono obbligatoriamente fruiti secondo quanto previsto dai rispettivi ordinamenti e non danno luogo in nessun caso alla corresponsione di trattamenti economici sostitutivi. La presente disposizione si applica anche in caso di cessazione del rapporto di lavoro per mobilità, dimissioni, risoluzione, pensionamento e raggiungimento del limite di età. Eventuali disposizioni normative e contrattuali più favorevoli cessano di avere applicazione a decorrere dall’entrata in vigore del presente decreto.

La violazione della disposizione, oltre a comportare il recupero delle somme indebitamente erogate, è fonte di responsabilità disciplinare e amministrativa per il dirigente responsabile (…)”.
In ragione delle sopra indicate normative, spetterà all’ente locale, trovare una soluzione al problema evitando in tal modo eventuali responsabilità amministrative in caso di monetizzazione delle ferie al momento del pensionamento del dipendente.

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